Le ultime assemblee di Mirafiori
Torino, 24 novembre 2012
Ho quarantatré anni e ne sono trascorsi più di diciassette anni da quando venni eletto per la prima volta rappresentante dei lavoratori in una lista FIOM-CGIL presso una struttura impiegatizia di quella che all’epoca si chiamava FIAT Auto.
Ammetto di aver recentemente commesso l’errore di “abbassare la guardia” e, come un vecchio reduce di troppe guerre, di aver iniziato a pensare che ormai le avevo viste tutte e più nulla avrebbe potuto stupirmi od indignarmi. Ebbene mi sbagliavo, perché in questi diciassette anni mai mi era accaduto, da persona (eccessivamente) razionale quale mi reputo, di trovarmi nella condizione emotiva in cui mi trovo ora, al punto tale di sentire la necessità, per me inusuale, di condividere con quante più persone possibile il mio stato d’animo.
Ho invano sperato che queste sensazioni fossero legate al momento contingente di cui vi parlerò poco oltre e che pertanto si sedimentassero dopo una bella dormita od una passeggiata, ma ho scoperto con sgomento che ciò non è accaduto.
Pare ci sia sempre un momento in cui prendiamo atto violentemente di un dato oggettivo che abbiamo sempre visto, in quanto è sempre stato sotto i nostri occhi, ma che non abbiamo mai osservato in tutta la sua profondità e le sue implicazioni. Come il contadino che per anni ara la stessa terra e rivolta le stesse zolle, ma che un giorno si ferma davanti a un filo d’erba ed ha la percezione e la meraviglia dell’infinitamente grande che stanno dietro quella zolla e quel filo d’erba. Forse per me è venuto questo momento.
Tutto ha origine da una banale tornata di assemblee indetta in FIAT dalle organizzazioni sindacali firmatarie del Contratto Specifico di Lavoro (in scadenza a fine anno) che ha, per noi lavoratori FIAT, sostituito il Contratto Nazionale. Nel comprensorio di Mirafiori (ancora molto esteso e frammentato in numerose realtà locali) quasi nessuna assemblea è stata tenuta dai sindacati confederali firmatari del Contratto Specifico (FIM-CISL e UILM-UIL). Quasi ovunque si sono presentati l’UGL, il FISMIC (ex SIDA: sindacato giallo di vallettiana memoria) e l’Associazione Quadri e Capi FIAT (diretta emanazione aziendale) e ovunque si è avuto il medesimo esito di cui vi riferisco immediatamente oltre.
Nel settore in cui lavoro ho avuto l’occasione di presenziare all’assemblea tenuta dall’UGL e questo è stato l’evento di cui vi scrivevo poc’anzi e che ha messo in moto emozioni di cui ancora non riesco a comprendere la portata, tentando di farlo con questo scritto.
Non posso e non voglio (meriterebbe trattazione a parte) farvi una precisa cronaca dei contenuti di questa assemblea. Troppe e troppo grandi sono state le sciocchezze dette dai relatori (quando sono riusciti a parlare) ed hanno avuto come unico merito il fatto di aver reso evidente l’assenza di argomentazioni a sostegno del Contratto Specifico. Tra tutte merita citare quella che vede (testuale) “la FIOM colpevole di questo accordo di merda che noi [UGL] siamo stati costretti a firmare per evitare che in fabbrica restasse solo il FISMIC”. A onor del vero va anche detto che questo è stato il momento di analisi più raffinato ed articolato che i relatori hanno toccato in un’ora e mezzo di assemblea.
Mentre l’assemblea esplodeva (e noi FIOM, per fare onore al nostro ruolo storico di agit-prop, cercavamo di placare gli animi per consentire un corretto svolgimento della relazione) non ho potuto fare a meno di pensare che i lavoratori stavano ricevendo un ulteriore ed ultimo sfregio che neppure il peggiore di loro avrebbe meritato. Mentre con altri compagni tenevo letteralmente per la giacca lavoratori che andavano a parlare (mi si perdoni l’eufemismo) a due centimetri dal naso dei relatori, sono arrivato a rimpiangere la schiettezza di quei confederali che, a fronte di un accordo sofferto, venivano a spiegarti, mettendoci la faccia e rischiando le ombrellate in testa (Benvenuto docet), che “o si mangiava la minestra, o si saltava dalla finestra”. Seguendo il filo dei miei pensieri più cupi (e sebbene io non sia mai stato affascinato dalla agiografia resistenziale) non ho potuto non ricordare il mio nonno materno che nel marzo 1943 a Mirafiori scioperò per il pane e per la pace, gettando le basi di quello che anni più tardi sarebbe divenuto (con gestazione lunga e dolorosa) l’impianto legale che ci ha consegnato, tra le altre cose, anche il diritto alle assemblee. E lui? Si sarebbe meritato lo sfregio di vedere le assemblee ridotte ad evento in cui si cerca l’incidente per delegittimare un sindacato già estromesso dai luoghi di lavoro con metodi la cui legalità è al vaglio della Corte Costituzionale? O, peggio, di vederle trasformate in sedi in cui un rappresentante dei lavoratori prende in giro i lavoratori stessi? Credo esista una sacralità intangibile di alcuni luoghi ed istituiti ed io l’ho sentita violata nella mia carne, scoprendomi impotente.
Non riesco a valutare le conseguenze sul piano personale di quanto accaduto: ad essere sincero non so dirvi se ciò mi renderà più combattivo di prima o se mi abbatterà al punto di lasciare che questo ciclo storico si esaurisca con la cancellazione del sindacato così come la storia europea ce lo ha consegnato, per poi ricostruire (se sarà possibile) qualcosa di diverso partendo dalle sue stesse rovine.
Mi sento però sicuro delle conseguenze sul piano sindacale: infatti sono ragionevolmente certo di aver assistito ad una delle ultime (se non all’ultima) assemblea in FIAT. Non so neppure immaginare con quale spirito i lavoratori torneranno (se torneranno) alle nostre assemblee quando (se) torneremo ad esercitare la nostra pratica sindacale in azienda.
Resta, su tutto, un’ulteriore valutazione personale: in questo mondo globalizzato e finanziarizzato è sempre più chiara l’inconciliabilità tra le aspettative di chi “detiene i mezzi di produzione” e chi presta la sua opera. Si può cercare di risultare vincenti in tale conflitto. E’un’aspettativa legittima. Ciò che non si può fare è fingere che tutto ciò non esista, come sta accadendo qui ed ora in un pezzo di sindacato e nella politica. Tale finzione finirebbe solo con il rendere carsico un fiume che continuerebbe comunque a scorrere, senza sapere dove, quando e con quanta violenza ritornerà in superficie. Scoprendo, a quel punto, di non avere più alcun argine a condurlo verso il mare. Io non ci sarò, ma i miei figli potrebbero esserci e so di non voler consegnare loro questo futuro.
Grazie di aver letto. Un abbraccio.
Fabio Di Gioia
(delegato FIOM-CGIL Strutture Centrali Fiat Group Automobiles – Mirafiori)