1976-80

Lo sviluppo articolato della contrattazione. Il terrorismo e la strategia della tensione. La sconfitta dei 35 giorni

L’inizio del 1976 assunse rilievo il rinnovo del Ccnl, che fu molto centrato sui diritti d’informazione; infatti, il punto centrale della strategia della Flm era rappresentato dalla richiesta di diritti d’informazione periodica sui programmi d’investimento, sul decentramento produttivo e sulle politiche occupazionali delle imprese. Era la cosiddetta “prima parte” del Contratto con cui si proponeva di affrontare gli aspetti delle ristrutturazioni aziendali connessi con la crisi economica. La trattativa era iniziata alla fine del 1975 e l’accordo fu raggiunto il 1° maggio 1976 dopo 90 ore di sciopero. Oltre ai diritti d’informazione, un altro punto qualificante fu l’introduzione della mezz’ora di refezione retribuita per i turnisti dal 1° luglio 1978, che era un aspetto che riguardava in particolare la Fiat, essendo ormai da tempo applicata nelle altre aziende metalmeccaniche. L’aumento dei minimi retributivi fu concordato nella misura di 25.000 lire uguali per tutti. A differenza delle altre fabbriche italiane, dove l’accordo fu accolto con soddisfazione, le assemblee sindacali di conclusione sul rinnovo del Ccnl furono tutt’altro che tranquille a Mirafiori: oggetto di contestazione erano proprio il ritardo temporale con cui sarebbe stata applicata la mezz’ora di mensa retribuita.

Roma, manifestazione del 2 dicembre 1977

La ristrutturazione aziendale

Il processo di ristrutturazione aziendale iniziato nel 1970 comporterà, a partire dal 1976, la suddivisione del gruppo in 11 società (tra cui Fiat Auto) controllate da una holding centrale. Oltre a ciò la Fiat praticherà un’attiva politica di decentramento produttivo per riconquistare nella piccola e media impresa margini di flessibilità. Inoltre, nel corso degli anni settanta, accentuerà lo spostamento delle produzioni all’estero. Sempre nel 1976 una finanziaria del governo libico (Lafico) sottoscrisse una quota rilevante di capitale della Fiat apportando risorse di cui la Fiat aveva assolutamente bisogno; mentre Carlo De Benedetti ebbe la sua breve stagione (tre mesi) di amministratore delegato della Fiat e Umberto Agnelli veniva eletto nelle liste della Dc.

La svolta dell’EUR e la solidarietà nazionale

L’accordo interconfederale del 26 gennaio 1977 aveva stabilito la sterilizzazione della contingenza dal calcolo dell’indennità di liquidazione e la soppressione di sette festività infrasettimanali: si trattava di una concessione sindacale che creò notevoli dibattiti e contenziosi interni alle organizzazioni sindacali.

Il 2 dicembre 1977 la Flm proclamò lo sciopero generale con una manifestazione a Roma a cui parteciparono 200.000 lavoratori: gli obiettivi principali erano lo sblocco delle vertenze aziendali non ancora chiuse e il mutamento della politica economica e industriale del governo, ma non era estranei anche la protesta contro il terrorismo e le provocazioni della cosiddetta area di “autonomia operaia”. L’iniziativa fu avversata dalla Federazione Cgil Cisl Uil e dal Pci, che la considerarono “avventurista”, dato il clima politico generale e il rischio di scontri e provocazioni, come quello che aveva coinvolto Luciano Lama all’Università di Roma. L’iniziativa ebbe successo e diede un contributo determinante alla successiva crisi di governo e nel determinare nuovi equilibri politici, verso quella che fu definita la politica di “solidarietà nazionale” con l’ingresso del Pci nell’area di governo.

Non bisogna dimenticare che la Federazione Cgil Cisl Uil preparava la “svolta dell’Eur”, come fu chiamata dalla sede della conferenza dove, il 14 febbraio 1978, fu annunciata la nuova strategia sindacale. La nuova proposta di politica economica poneva il problema centrale della riforma e del rinnovamento dello Stato, rispetto alla quale il sindacato si dichiarava disponibile a politiche di contenimento delle rivendicazioni salariali con una proposta di riforma dello stesso salario, la mobilità contrattata dei lavoratori da una fabbrica all’altra, il contenimento dei consumi individuali per favorire i consumi pubblici e gli investimenti produttivi. In questa proposta vi erano delle evidenti connessioni con la politica della “austerità” propugnata dal Pci, ma i dissensi all’interno della Flm nei confronti delle scelte politiche delle Confederazioni erano altrettanto evidenti; anche perché la proposta prefigurava chiaramente uno scambio politico centralizzato. In pratica l’opposizione alla politica dell’Eur arrivava da due fronti: da una parte la cosiddetta “sinistra” sindacale che riteneva che questa politica comportava una compressione del conflitto sindacale; ma anche le parti più moderate del sindacato, come una parte della Uil, che manifestavano un dissenso poiché ritenevano che collocasse il sindacato in posizione sostanzialmente subordinata e di supporto alla politica del compromesso storico.

Il confronto sugli orari di lavoro e le nuove assunzioni

Nel corso del ’77 si è sviluppata una vertenza di gruppo che, tra le altre cose, ha finalmente portato alla conquista della mezzora per i turnisti (accordo firmato nel luglio ’77)

Negli ultimi mesi del 1977 il confronto sindacale è concentrato sulla richiesta della Fiat di effettuare sei sabati di straordinario per circa 3.800 lavoratori della linea della 127 di Mirafiori. Le motivazioni aziendali sono legate alla necessità di rispondere alla domanda di mercato in un segmento in cui si manifesta una forte concorrenza; ma la risposta sindacale fu negativa, con la motivazione che un’adeguata razionalizzazione del flusso produttivo avrebbe consentito un forte incremento di produzione e in ogni caso gli straordinari erano da considerare incompatibili con i problemi occupazionali conseguenti alla crisi economica e alle relative ristrutturazioni, pertanto fu avanzata alla Fiat la richiesta di nuove assunzioni. Il confronto si blocca: alla fine di ottobre la Fiat procede comandando i lavoratori il sabato e la Flm organizza i picchetti davanti alle porte. Nei fatti bastò “l’effetto annuncio” dei picchetti perché pochissimi lavoratori si presentassero ai cancelli di Mirafiori.

Nel 1978 si riaprirono le assunzioni alla Fiat, dopo quattro anni di blocco del turn over, che continuarono nell’anno successivo, anche per effetto della riduzione d’orario per i turnisti nel 1978 (la mezz’ora di refezione retribuita), fino ad arrivare ai primi mesi del 1980. Le nuove generazioni di lavoratori (oltre 10.000 assunzioni) si dimostrarono restie ad aderire al sindacato. La legge N°903 del 1977, legge di parità, cambia le regole di funzionamento dello stesso mercato del lavoro e delle assunzioni per cui moltissimi dei nuovi ingressi in Fiat sono state giovani donne. Si apre nei fatti un nuovo capitolo.

Il rinnovo contrattuale del 1979 e la fine della solidarietà nazionale

La piattaforma rivendicativa per il rinnovo del Ccnl del 1979 fu decisa nell’assemblea di Bari alla fine del 1978; ma le rivendicazioni presentate sono il frutto di un “assemblaggio” di impostazioni diverse: un segnale evidente di crisi della Flm. Il punto su cui vi erano molte riserve interne era quello della riduzione d’orario, particolarmente sostenuta dalla Cisl; mentre la Cgil espresse delle forti contrarietà a tale impostazione.

La battaglia contrattuale avvenne in un momento politico difficile, con la fine dell’esperienza della “solidarietà nazionale” e l’uscita del Pci dall’area di governo. A differenza degli altri rinnovi contrattuali la Fiat ebbe un ruolo negativo, di resistenza, in particolare sulla proposta della riduzione dell’orario di lavoro, mentre le posizioni delle altre aziende metalmeccaniche erano molto più articolate. Per questo il conflitto sindacale assunse un ruolo centrale negli stabilimenti del Gruppo Fiat.

L’accordo fu firmato il 16 giugno 1979, con la mediazione del Ministro del Lavoro, dopo 100 ore di sciopero (ma alla Fiat furono almeno 120-140 ore con i blocchi ai cancelli) e l’utilizzo dei blocchi stradali come forma di lotta, in questo modo si creò un problema di “ordine pubblico” che forzò la conclusione della vertenza.

L’accordo prevedeva alcune novità sul versante retributivo con l’unificazione degli scatti d’anzianità per operai e impiegati (5 scatti al 5% dei minimi contrattuali); inoltre l’aumento di 47.000 lire era di nuovo differenziato per categoria: segno evidente di un mutamento della strategia sindacale sul salario, che prendeva atto delle difficoltà riscontrate dal sindacato rispetto a una politica di aumenti uguali per tutti, che non considerava le differenze professionali.

Rispetto ai due rinnovi precedenti la Fiat aveva avuto una posizione opposta all’interno di Federmeccanica, assumendo un ruolo di resistenza alla conclusione contrattuale. Il rinnovo del Ccnl interveniva in una fase economica difficile: la Fiat presentava una situazione debitoria elevata e aveva già mostrato nel periodo precedente maggior rigidità nella contrattazione, ponendo il problema di un recupero di produttività. La stessa conclusione contrattuale si rivelò un pasticcio per quanto riguarda la riduzione dell’orario di lavoro di 40 ore annue, con una formulazione che, con i mutati rapporti di forza dopo il 1980, diede il pretesto a Federmeccanica di evitarne l’applicazione.

La recrudescenza del terrorismo e il licenziamento dei 61 lavoratori

Incendio a Mirafiori a causa l’attentato del 1977

Per tutta la seconda metà degli anni settanta si susseguirono attentati incendiari, ferimenti e omicidi di capi e dirigenti Fiat da parte delle Brigate Rosse e altri gruppi terroristici; inoltre vi furono delle infiltrazioni di questi gruppi tra i lavoratori e i delegati sindacali della Fiat. Il 1978 e il 1979 sono stati gli anni più terribili per il numero di attentati con morti e feriti: in quel periodo avvenne un salto di qualità dei fenomeni eversivi con il diffondersi delle sigle terroristiche e degli atti di violenza e di intimidazione. Il terrorismo brigatista aveva ucciso almeno tre dirigenti e ferito un’altra ventina di quadri aziendali, a cui si aggiungono gli attentati incendiari, come quello del 9-10 dicembre 1977 che distrusse un magazzino di Mirafiori. Nel periodo immediatamente successivo la Fiat decide di passare all’offensiva e annuncia, l’8 ottobre 1979, il licenziamento di 61 lavoratori. Le motivazioni per il licenziamento furono molto vaghe, ma la Fiat nel comunicato stampa presentò l’iniziativa con la motivazione che la fabbrica era diventata ingovernabile per le violenze e gli atti di terrorismo, stabilendo quindi una diretta connessione tra i licenziamenti e la lotta al terrorismo.

La vertenza del 1980 e i “35 giorni”

Gli anni ottanta si aprono in una fase in cui le relazioni sindacali hanno già assunto una brusca conversione in senso negativo. La stessa situazione del mercato dell’auto denunciava un peggioramento generalizzato in tutto il mondo; ma la situazione si presentava ancora più grave per la Fiat che scontava gravi errori di previsione e nell’aver ritardato il rinnovo dei modelli, perdendo conseguentemente quote di mercato sul territorio nazionale; questo peggioramento di mercato si aggiunge a una situazione di squilibrio dei conti aziendali. La perdita di quote di mercato e l’aggravamento dei conti aziendali in ultima istanza favorirono le posizioni aziendali più oltranziste nei confronti del sindacato e rafforzarono l’ipotesi di arrivare a uno scontro risolutivo che rovesciasse definitivamente le relazioni in azienda, in coerenza con quanto già praticato negli ultimi mesi del 1979.

L’11 settembre la Fiat annuncia l’avvio della procedura per il licenziamento di 14.469 lavoratori tra il Settore Auto e la Teksid. La Fiat fece l’annuncio poco prima di presentarsi al tavolo del Ministero del lavoro dove le parti erano state convocate per una proposta di mediazione: in quella sede il sindacato, dopo una complessa discussione interna, accettò di affrontare la possibilità di utilizzare la mobilità esterna purché da posto a posto di lavoro, senza quindi il rischio che i lavoratori si ritrovassero licenziati senza una prospettiva d’impiego. In ragione di questa disponibilità il Ministro del lavoro, Franco Foschi, elaborerà una proposta di mediazione che sarà consegnata alle parti il 20 settembre. Il 27 settembre cade il Governo Cossiga e viene meno l’interlocutore istituzionale della vertenza: l’azienda coglie l’occasione per sospendere i licenziamenti e mettere in Cassa integrazione 24.000 lavoratori per tre mesi dal 6 ottobre. La mossa dell’azienda sarà comunemente interpretata come un modo per sottrarsi all’isolamento in cui era caduta dopo l’annuncio dei licenziamenti. A fronte della revoca dei licenziamenti il sindacato decise di sospendere lo sciopero generale. Il 29 settembre la Fiat annuncia che è disponibile a prendere in esame soluzioni alternative ai licenziamenti, ma il 30 settembre rende pubbliche le liste dei lavoratori posti in Cassa integrazione. Le “liste di proscrizione”, come vennero battezzate da parte sindacale per i criteri discriminatori con cui erano state compilate, furono esposte ai cancelli della Fiat mentre era in corso l’assemblea dei delegati al Teatro Nuovo a Torino. La decisione unilaterale della Fiat viene interpretata dall’assemblea dei delegati come uno schiaffo al sindacato, poiché tutti comprendono che con questa scelta, vengono selezionati i lavoratori da escludere e la discussione può avvenire solamente sui criteri scelti dall’azienda. Nei fatti il tentativo evidente è di dividere coloro che sono colpiti dal provvedimento da quelli che invece rimangono a lavorare.

Pur respingendo l’ipotesi, presentata dalla parte più radicale dei delegati, di occupare la fabbrica, l’as­semblea dei delegati decise il presidio dei cancelli e lo sciopero a oltranza. Come è noto la decisione sulle forme di lotta è una polemica che divise e continua a dividere i sindacalisti, tra chi ritiene che era impossibile qualsiasi alternativa alla scelta fatta, proprio per la tipologia di quadri sindacali della Fiat; mentre altri ritengono che sarebbe stato possibile e necessario una strada diversa nelle gestione delle forme di lotta con il ricorso all’articolazione, soprattutto dopo l’annuncio aziendale del ritiro dei licenziamenti.

Le trattative ripresero il 13 ottobre presso l’Hotel Boston di Roma. Il giorno dopo un corteo di capi e lavoratori Fiat, con la partecipazione anche di altre persone, sfila per Torino in una manifestazione antisindacale: è la cosiddetta “marcia dei quarantamila” che è oggettivamente un sostegno alle posizioni dell’azienda. In realtà la cifra dei partecipanti è gonfiata dai mezzi d’informazione, ma gli effetti sulla trattativa, che era quasi conclusa, sono consistenti.

Nei fatti, l’azienda irrigidisce le proprie posizioni contrattuali, inoltre è arrivata l’ingiunzione della Procura della Repubblica di Torino, su istanza della Fiat presentata il 2 ottobre, di consentire il libero accesso agli ingressi della fabbrica: l’accordo venne raggiunto nella notte tra il 14 e il 15 ottobre al Ministero del lavoro, quindi fu richiesto di sottoporlo alla verifica delle assemblee dei lavoratori; ma prima delle assemblee, il giorno 15, fu convocata un’assemblea di delegati al cinema Smeraldo a Torino, dove fu evidente l’impossibilità di risolvere l’insieme delle contraddizioni che si erano accumulate dall’inizio della vertenza. Il mattino seguente si tennero le assemblee negli stabilimenti che, nonostante alcuni tentativi di aggressione nei confronti di alcuni dirigenti sindacali (in particolare quello a cui fu soggetto Pierre Carniti alla Meccanica di Mirafiori) approvarono l’accordo.

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