La cronotecnica come modello tecnico-scientifico
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Problemi di linguaggio Alcuni specialisti dei problemi del linguaggio e della comunicazione, affermano che mediamente la maggioranza degli adulti italiani, dotati di istruzione media inferiore, conosce circa 2000 parole (vocabolario fondamentale); affrontare temi specialistici come la cronotecnica, condiziona quindi chiunque voglia farsi comprendere da un largo pubblico. Ad aggravare questa difficoltà oggettiva, più volte, tecnici e gestori padronali utilizzano il linguaggio specialistico proprio della cronotecnica, non per favorire l’acquisizione di comuni modelli interpretativi ma per spiazzare, confondere, ingannare l’interlocutore; altre volte poi, questo linguaggio specialistico diventa gergo specifico di un gruppo, valido unicamente in quella determinata azienda o realtà, aggravando ulteriormente il problema. In questa parte del lavoro l’uso di termini specialistici non può essere evitato, dato che, negli accordi sul tema della prestazione di lavoro e nei sistemi di regole che ne discendono, sono indicatori e riferimenti continuamente presenti. Oltre a questo, dato che gli accordi e le regole più volte durano nel tempo e possono essere gestiti anche da soggetti che non erano presenti alla discussione ed alla stipula degli stessi, è preferibile che la terminologia ed il linguaggio sia certo ed il meno equivocabile possibile; porsi quindi l’obiettivo di avere un linguaggio comune sia tra i lavoratori ed i sindacalisti che tra le controparti mi sembra non solo corretto ma doveroso. Nel corso dei capitoli non potendo evitare l’uso di termini particolari, tenterò di definirli tramite parole largamente note o, se possibile, di renderli chiari dal contesto del discorso non dimenticando l’adagio di Albert Einstein che diceva che “ogni cosa deve essere resa quanto più semplice possibile, ma non ancora più semplice”.
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Cenni storici La quantificazione del lavoro da svolgere in un determinato tempo, come mezzo per il controllo dell’attività produttiva degli addetti, è uno strumento anticoche è rimasto grezzo mai fuoriuscito dall’empirismo
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Il metodo di lavorazione Per – Metodo di Lavoro – si intende il come un lavoro deve essere eseguito; questo metodo è la successione razionale di tutte le lavorazioni (operazioni) che un materiale, o un semilavorato, subisce per essere trasformato in un prodotto finito. L’analisi del metodo deve essere definita dal tecnico dell’ufficio Analisi lavoro e si incentra sulle dettagliate istruzioni operative da trasmettere all’operaio addetto alla trasformazione di un prodotto.
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Il tempo di lavoro Per – Tempo di Lavoro – si intende la quantità di tempo (globalmente intesa) “concessa” ad un operaio, addetto ad un ciclo di lavorazione per eseguire un pezzo; questo tempo è comprensivo, dei tempi macchina, dei tempi manuali e delle maggiorazioni.
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Il cronometrista – analista Il tecnico preposto alla definizione dei tempi di lavorazione è comunemente chiamato Cronometrista dato che il cronometro è ancora lo strumento più usato per rilevare i tempi. Il termine più corretto, attribuendo a questo tecnico l’insieme dei compiti che definiscono la sua professionalità, è Cronometrista – Analista in quanto, prima di stabilire i tempi, deve analizzare il ciclo, il metodo di lavorazione, definirlo o affinarlo. Nella realtà il furto dell’esperienza e dei saperi operai è la prassi più diffusa. Essendo una professionalità complessa, negli uffici analisi lavoro alcune volte questa mansione è sdoppiata, adibendo i più preparati al lavoro di analisi e definizione del metodo e gli altri alla determinazione dei tempi su di un ciclo dato. |
Il cronometraggio Chiamasi cronometraggio la rilevazione della durata di una operazione qualsiasi eseguita dal rilevatore tramite il cronometro. Il fine di questa rilevazione è stabilire, con la maggiore esattezza possibile, il tempo occorrente per eseguire la lavorazione di un pezzo (tempo per pezzo).
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Le attrezzature del cronometrista Le attrezzature essenziali per la rilevazione dei tempi sono:
Il cronometro storico è quello a suddivisione centesimale (minuto diviso in 100 parti) con 2 pulsanti e 2 lancette. La tavoletta di sostegno del cronometro e dei moduli di registrazione deve principalmente rispondere alla esigenze di lavoro dei singoli cronometristi e possono essere costruite e personalizzate nel modo più diverso. I moduli di registrazione la cui finalità è quella di rilevare, oltre la specificazione dell’elemento di operazione, tutti i dati tecnici e le caratteristiche di lavorazione necessari per la determinazione del tempo di mano d’opera occorrente per l’esecuzione di una operazione. I moduli sono molteplici e personalizzati azienda per azienda, una prima grande suddivisione è data dal tipo di metrica che si adotta:
I capitoli, le parti essenziali comuni a tutti i moduli, sono:
Il livello di analiticità e la ricchezza di informazioni immesse nei moduli varia molto da azienda a azienda, e molto dipende dai criteri metodologici e organizzativi che le stesse si danno.
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Tecnica del cronometraggio La tecnica del cronometraggio si basa su quattro operazioni fondamentali
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Scomposizione dell’operazione in elementi d’analisi Un ciclo di lavorazione, per essere cronometrato o rilevato, deve essere dettagliatamente descritto e scomposto in parti (elementi) definiti e misurabili. Questa scomposizione in elementi analitici, parcellizzati e quindi e misurabili è indispensabile per:
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La valutazione del rendimento nei modelli cronometrici La valutazione del rendimento di un lavoratore (o giudizio sulla velocità di esecuzione), è da sempre l’aspetto più controverso della contrattazione della prestazione di lavoro. Lo studio dei tempi, pur essendo da tempo un modello trasmissibile quindi “scientifico”, non è frutto di una scienza esatta. Ne consegue che le fondamenta su cui poggia sono sempre convenzioni, criteri interpretativi o valutazioni di un gruppo che forma al suo interno degli esperti nell’uso di una tecnica comune, che lascia larghi spazi a valutazioni largamente influenzabili sia dalla soggettività che da errate interpretazioni o usi strumentali, riconducibili alla sfera degli interessi padronali o dell’impresa. La professionalità degli analisti su questo tema si acquisisce principalmente tramite l’esperienza, la formazione consiste nell’acquisire un’iniziale capacità di giudizio, di valutazione, tramite la visione di filmati. I più conosciuti sono i SAM (Society for the Advancement of Management) che sono composti da attività di lavoro tipiche del settore industriale svolte da 1800 lavoratori di 200 industrie, ripetute a velocità d’esecuzione diverse. Da questa premessa è facile intuire, soprattutto nei modelli cronotecnici che prevedono l’utilizzo del giudizio di efficienza o di velocità d’esecuzione, che riferimenti quali uomo medio, velocità media, ragionevole sforzo, ecc. possono essere controversie prioritarie nella contrattazione perché usabili in modo strumentale. Dopo queste brevi ma doverose considerazioni, sotto il profilo metodologico è possibile affermare:
Nel tentativo di recuperare parvenze di oggettività alcuni ricercatori hanno tentato di definire l’indicatore principale, la base 100 su cui eventualmente applicare una scala di incentivazione, che è comunemente indicato come rendimento normale o livello massimo di ritmo lavorativo di un operaio medio (che rimane un’astrazione non identificabile), non soggetto ad incentivazione della prestazione. Generalmente, nella manualistica, il rendimento normale, per i lavoratori operanti in climi temperati, è dato da un lavoratore maschio di fisico medio, che cammini in linea retta su di un terreno piano e senza portare pesi, alla velocità di tre miglia orarie. Per le lavoratrici non è dato sapere ma è intuibile che sia inferiore. Quasi tutti i manuali intendono per miglio il miglio terreste (Statute Mile) pari a m 1609,344 quindi km 4,828; alcuni manuali però assumono il miglio geografico pari a m 1855,4 quindi km 5,566.Un’altra misura pratica del rendimento normale è data dalla distribuzione di un mazzo di carte (52 pezzi) in quattro pile uguali poste ai quattro angoli di un quadrato di 30 cm di lato impiegando 0,375 minuti. Da queste considerazioni è possibile affermare:
Come ulteriore criterio generale per valutare la base 100 di rendimento, è possibile assumere il fatto che questa deve poter essere incrementata mediamente del 20 – 35 % contrattando una scala di incentivazione retributiva ed un insieme di maggiorazioni per effetti stancanti, senza che questo (si afferma) procuri nocumento alla salute dei lavoratori coinvolti.
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Uso della valutazione del rendimento nei modelli cronometrici Assunto il rendimento 100 come “normale”, l’analista usa questo riferimento per giudicare la velocità d’esecuzione di una operazione. Se l’analista valuta che l’operazione osservata viene eseguita ad una velocità inferiore attribuirà un coefficiente inferiore a 100, es. 95-90-85; se la velocità è ritenuta superiore attribuirà un coefficiente maggiore di 100, es. 105-115-130-135. E’ comune l’uso di multipli di 5 per facilitare l’attribuzione del coefficiente. Questo giudizio modifica, adeguandola, la lettura del cronometro; semplificando i vari passaggi che illustreremo, è possibile affermare che il lavoratore osservato può lavorare alla velocità che crede ma il tempo che l’analista attribuisce è sempre un tempo derivante dal raffronto mentale tra la velocità d’esecuzione del lavoratore ed una sua, già citata, soggettiva immagine di velocità. Ne consegue che il risultato che l’analista si prefigge è quasi sempre raggiungibile, astuzie quali il rallentamento della velocità durante una rilevazione non servono, la strada per difendersi è un’altra. La prassi concreta è illustrabile tramite la seguente relazione: |
TEMPO OSSERVATO x RENDIMENTO = COSTANTE |
Numericamente:
Ciclo Rilevazione Cronometrica Giudizio di Rendimento Costante 1 0,25 x 80 = 20 |
2 0,20 x 100 = 20
3 0,16 x 125 = 20
La costante è identificabile con il tempo normalizzato che rappresenta:
Il tempo necessario al lavoratore, secondo il giudizio soggettivo dell’analista, per eseguire il lavoro a rendimento normale (base 100) |
Per il Tempo Normalizzato, Il rapporto è il seguente:
RENDIMENTO ASSEGNATO TEMPO RILEVATO x ———————————————– = TEMPO NORMALIZZATO RENDIMENTO NORMALE |
Numericamente:
80 |
0,25 min. x ——– = 0,20 min. (Tempo normalizzato a 100)
100
Per ottenere un tempo incentivato, in una scala frutto della contrattazione, basta cambiare il denominatore e si ottengono tempi non più normalizzati ma incentivati.
Per il Tempo incentivato, il rapporto è il seguente:
RENDIMENTO ASSEGNATO TEMPO RILEVATO x ————————————————– = TEMPO INCENTIVATO RENDIMENTO CONTRATTATO |
Con un incentivo contrattato ad es. 133,33, numericamente:
80 |
0,25 min. x ——– = 0,15 min. (Tempo incentivato a 133)
133
Naturalmente tutti questi tempi sono puri e si riferiscono ai tempi di esecuzione teorici che non tengono assolutamente conto delle – maggiorazioni di tempo – per bisogni fisiologici e per effetti stancanti derivanti dalla faticosità del lavoro, dai vincoli impiantistici, dallo sforzo mentale, dalle differenze di sesso, ecc.
Più volte durante la contrattazione sui criteri di rilevazione, sui giudizi di efficienza espressi e nelle enunciazioni di principio di molte aziende, appare una formulazione che dice:
I risultati dei vari rilievi vengono mediati con il sistema della triangolazione che riscontra la distribuzione di singoli valori misurati secondo la normale “curva di Gauss” |
La prima cosa da chiedere in questo caso, è la presa visione (consegna fotocopie) di questi studi perché possono risultare anche interessanti per 2 motivi; primo perché non si finisce mai di imparare, secondo perché, a volte, creano più problemi all’azienda di quanti non ne risolvano.
Questa curva non è altro che la risultante grafica di un’insieme di rilevazioni effettuate su più lavoratori che svolgono tutti la stessa mansione con velocità e abilità diverse. Da non dimenticare che più piccolo è il gruppo di lavoratori interessato meno valenza ha la verifica.
La – Normale curva di Gauss – o più comunemente, la – Curva di distribuzione normale -, come si può vedere dall’allegato, è un diagramma cartesiano dove sull’asse delle ascisse sono presenti i secondi e su quello delle ordinate il numero di lavoratori e la percentuale.
Nell’esempio presente, la rilevazione (media di molteplici rilevazioni) ha interessato 500 addetti, questi sono stati suddivisi in gruppi in relazione ai secondi impiegati nello svolgere la mansione, dai meno ai più veloci e capaci.
La determinazione dei punti della curva avviene operando nell’ambito dei diversi gruppi; la scala dei tempi dei vari gruppi è divisa in intervalli e per ogni intervallo si riporta sulle ordinate (asse delle Y) il punto corrispondente al numero (o alla percentuale) di lavoratori i cui tempi rilevati stanno dentro quell’intervallo. L’unione dei vari punti determina la curva dove il suo apice (48″ nel caso dell’esempio) stabilisce il tempo “mediamente” necessario per compiere il lavoro preso in esame.
Da non dimenticare, che questo tempo è proponibile in un regime di cottimo libero dove i più capaci raggiungono sicuramente questo rendimento e al limite lo possono superare (34,8% circa), la maggioranza può lavorare a 48″ (67,6%), una consistente minoranza non potrà però lavorare a 48″ (32;4%), quindi non potrà raggiungere il massimo di cottimo se il dato verrà preso a riferimento.
Questo fatto procurerebbe già di per se dei problemi e, se il dato venisse assunto in un regime di cottimo obbligatorio (come ad esempio alla FIAT), sarebbe ingigantito con i conseguenti guai.
Da queste brevi considerazioni risulta chiaro che è sempre bene non spaventarsi delle affermazioni altisonanti curva di Gauss!!!!.. perché, misurandosi nel concreto, anche questo può essere un fertile terreno di contrattazione e di confronto.
Il tempo attivo Per tempo attivo (espresso con il simbolo TA) si intende unicamente il tempo di attività manuale (o di diretta assistenza al ciclo) necessario alla trasformazioni di un prodotto. Detto tempo è solitamente determinato da una metrica (sistemi cronometrici o tabelle internazionali) e può essere espresso o a base 100 (avvio dell’incentivazione o confine tra cottimo ed economia) oppure ad incentivo, 133 o altro indicatore.
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Il tempo macchina Per tempo macchina (espresso con il simbolo TM) si intende la quantità di tempo necessaria ad una apparecchiatura per compiere un determinato lavoro (asportazione truciolo, chiusure, controlli funzionali, ecc.). Quando in un ciclo di lavoro è inserito un tempo macchina ed il lavoratore compie – assistenza – durante la fase di lavoro dell’apparecchiatura, questo tempo è da – considerarsi attivo a tutti gli effetti – , bisogna quindi assegnare al lavoratore il tempo corrispondente al tempo macchina, a cui si deve aggiungere il fattore di riposo ed il fattore fisiologico relativi al tempo stesso (vedi nel capitolo TMC, il sottocapitolo – Esempio ragionato di Analisi – la parte relativa al tempo macchina di avvitatura / elemento n° 7 – vedi -). Se invece durante il tempo macchina l’apparecchiatura non necessita di assistenza, al lavoratore è possibile attribuire altri compiti (tempo in macchina lavora (ML)) che seguono la normale prassi di conteggio e di maggiorazione. Nel caso in cui le attività assegnate durante un tempo macchina non coprissero l’intero tempo, la rimanenza deve essere coperta sia dal fattore fisiologico che dal fattore di riposo.
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Il Fattore Fisiologico Per fattore fisiologico (espresso con il simbolo FF) si intende la quantità di tempo che il lavoratore ha a disposizione per le sue necessità fisiologiche. Mediamente questa quantità si aggira sul 4-6% del tempo di presenza in officina, oppure nei tradizionali 20-30 minuti riconosciuti a prescindere dal tempo di presenza in officina. L’assegnazione della maggiorazione avviene in due modi, o ampliando i Fattori di Riposo della percentuale di Fattore Fisiologico concordata/prevista, oppure assegnando la maggiorazione sui tempi attivi alla fine del conteggio del carico di lavoro. Alcune tabelle prevedono, giustamente, maggiorazioni differenziate tra uomini e donne.
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Il Fattore di Riposo Per fattore di riposo (espresso con il simbolo FR) si intende la maggiorazione da assegnare sui tempi attivi, in relazione a:
Questa maggiorazione è sempre espressa in percentuale sulla parcellizzazione del tempo attivo (ogni elemento d’analisi ha un suo fattore di riposo), la somma finale esprime il fattore di riposo medio dell’intera operazione assegnata. I valori in percentuale sono ricavabili da tabelle predisposte che possono variare (più ricche o meno ricche di indicatori); mediamente i valori oscillano da 1% a 23% circa. La più povera presente in commercio è quella FIAT (vedi) perché fortemente datata ed ormai inadatta a mitigare sia la tradizionale faticosità (sforzi muscolari) che le moderne faticosità (attenzione concentrata, sforzo mentale, monotonia, noia, turni disagevoli, ecc.)
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Le maggiorazioni Prima di addentrarci nell’analisi delle maggiorazioni da assegnare ai Tempi Attivi di esecuzione (TA), è bene ricordare che l’obiettivo, di tutti coloro che seriamente vogliono utilizzare la cronotecnica e la metrica del lavoro, è quello di ottenere tempi di esecuzione incentivati certi, accettati dai lavoratori, ed eseguibili dagli stessi dalla mattina alla sera, per tutti i giorni lavorativi dell’anno, senza che questo procuri danni alla loro salute. La nostra e soprattutto le future generazioni dei paesi industrializzati sono e saranno aiutate, nella riduzione della tradizionale fatica fisica, dell’evoluzione della legislazione esistente, dalle bonifiche ambientali e dalle innovazioni tecnologiche, ma dire che, nell’attuale contesto industriale con la relativa organizzazione del lavoro, la fatica ed i rischi siano scomparsi è un falso clamoroso (vedi infortuni, malattie professionali, tendiniti, ecc.). Per quanto riguarda poi la fatica psichica o quel mondo riconducibile alle malattie nervose (stress, ecc.), queste sono in aumento ed indicatori certi ed utilizzabili sono ancora largamente da scoprire. Per ultimo, stiamo assistendo ad un proliferare di Leggi e accordi sindacali che prevedono l’utilizzo di lavoratrici e lavoratori nei turni notturni anche in mansioni di lavorazione e montaggio, quindi ricche di gestualità e impegno diretto (fatica). Su questo e sugli altri temi dei rischi e della nocività da lavoro molto è stato scritto e provato scientificamente , ma poco o nulla è stato utilizzato in modo coerente in ambito sindacale. Da questa premessa risulta evidente che il capitolo della maggiorazioni di tempo da assegnare ed il conseguente livello di saturazione (rapporto tra tempo di presenza in officina e tempo di effettivo lavoro), hanno, secondo il mio parere, più peso ponderale della stessa corretta determinazione dei Tempi Attivi d’esecuzione. Molti tecnici padronali affermano che gli studi sul tema della fatica industriale non hanno la ricchezza e l’organicità che ci si potrebbe attendere dall’importanza dell’argomento quindi, anche questo punto è controverso, dato che per loro non esiste una “verità scientifica” a cui fare riferimento. Importanti contributi sono stati dati sia da Taylor che dai coniugi Gilbreth (i fondatori dello studio dei movimenti), dall’Industrial Research Board in G.B. e da molti ricercatori, fisiologi e psicologi di vari paesi. Negli anni 50 e 60 Importanti studi sono stati effettuati per mettere in relazione fatica e condizioni climatiche d’insieme (calore e umidità) ma il principale studio organico ed utilizzabile è quello realizzato nella Rep. Federale Tedesca dal Max Planck Institut fuer Arbeitsphysiologie di Dortmund pubblicato in Italia da Abruzzini – Roma 1956, con il titolo Fisiologia pratica del lavoro. In tempi più vicini a noi è doveroso ricordare la monumentale opera di Etienne Grandjean – Il lavoro a misura d’uomo – Ed Comunità 1979) dove basta osservare i titoli dei capitoli:
per capire quanto sia stato scientificamente analizzato e provato e quanto ricco sia il patrimonio scientifico a cui attingere per contrattare correttamente – l’adattamento del lavoro all’uomo -. Per molti tecnici aziendali questi studi sono ritenuti sì interessanti ma “datati” e “poco utilizzabili” nel campo della metrica del lavoro, nell’attuale contesto tecnologico e organizzativo, e continuano ad affermare che da tutti questi studi e ricerche non è derivato un modello scientificamente attendibile e utilizzabile, quindi continuano ad imporre l’uso di tabelle e criteri che di scientifico hanno sempre avuto poco e che oggi sono semplicemente offensive del buonsenso. I più cauti affermano che “ben poco è stato concluso”, e le maggiorazioni per effetti stancanti applicate nelle aziende di trasformazione “..sono ancora ampiamente frutto di stima e congetture” quindi è bene “..concordare la materia tra le parti interessate”. A prescindere da questi limiti un insieme di modelli, anche se diversi tra di loro, esistono e sono applicati, quindi, utilizzando sia dirette esperienze frutto della contrattazione che modelli attinti dal patrimonio tecnico scientifico conosciuto, le maggiorazioni da aggiungere ai TA sono, raggruppabili nei seguenti capitoli:
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Maggiorazioni di processo A questo gruppo appartengono le maggiorazioni che si riferiscono ai tempi, presenti nel ciclo, durante i quali il lavoratore è costretto a rimanere inattivo non per proprio volere, oppure a svolgere attività, sempre produttive, ma di assistenza o controllo al ciclo e non di diretta trasformazione. In sostanza queste maggiorazioni si riferiscono sia ai “tempi morti” presenti in un ciclo di lavoro che ai tempi di lavoro non riconducibili in modo diretto alla trasformazione del prodotto. Questi tempi devono essere considerati Tempi Attivi a tutti gli effetti per non snaturare la logica di costruzione del tempo di lavoro, l’architettura stessa dell’eventuale piano di incentivazione presente, per consentire il godimento dei non eliminabili bisogni fisiologici e di riposo, e per non penalizzare il guadagno del lavoratore che perderebbe interesse all’incentivazione stessa. In questi tempi confluiscono:
Quindi:
Da non dimenticare che quando affermo ..devono essere considerati Tempi Attivi a tutti gli effetti.., non mi riferisco unicamente all’aspetto retributivo ma all’insieme del trattamento che un Tempo Attivo avrà nella definizione di un Tempo Ciclo quindi, su di esso dovranno essere conteggiate: il rendimento equivalente alle altre fasi del ciclo e le maggiorazioni (che esamineremo nel corso del capitolo) per Fattore Fisiologico e di Riposo, e le altre maggiorazioni eventualmente contrattate.
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Maggiorazioni per bisogni fisiologici Le maggiorazioni per bisogni fisiologici sono le maggiorazioni, espresse in percentuale sul tempo di presenza in officina (es. 5% di 450′), per consentire all’addetto di godere principalmente dei bisogni fisiologici ed anche per recuperare parte della fatica (fisica e psichica) spesa nel turno di lavoro. Tradizionalmente queste maggiorazioni, per comodità di attribuzione, o sono, come già scritto, assegnate tramite una maggiorazione certificata e verificabile dei Fattori di Riposo, oppure sono assegnate alla fine del conteggio del costo unitario tramite la stessa maggiorazione in percentuale. Quindi:
Per la quantificazione del valore in percentuale da assegnare sul tempo di presenza in officina, gli studi più seri e le contrattazioni sindacali più ricche fanno confluire il dato nel concetto di – maggiorazioni costanti – suddividendolo in:
Oltre a questa suddivisione, studi, modelli consolidati e contrattazione fanno correttamente emergere variazioni in relazione al sesso – dei lavoratori, stabilendo per le donne maggiorazioni superiori a quelle degli uomini. Il dato, presente in diversi manuali, usato all’estero, proposto da diverse aziende cronotecniche di consulenza e da molte contrattazioni sindacali, indica:
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Maggiorazioni per riposo Per indagare correttamente l’Ambiente di Lavoro rimando gli interessati alla rilettura del manuale edito nel 1969 dalla FIOM e nel 1971 dalla FLM – L’Ambiente di lavoro -. Per non essere frainteso, i punti che analizzerò non sono sostitutivi delle lotte e della contrattazione sui temi ambientali ma collaterali ed a sostegno. In altre parole quando una condizione di faticosità o di nocività non è ancora eliminata, è doveroso, oltre che continuare la lotta per la sua eliminazione, farsi attribuire fattori di riposo e pause adeguate al fine di ridurre l’esposizione al rischio degli addetti. Le maggiorazioni per riposo, comunemente chiamate – Fattori di riposo (FR) -, appartengono alle – Maggiorazioni variabili – dato che possono mutare da lavoro a lavoro, sono espresse in percentuale e vengono applicate sui tempi attivi. Le principali varianti prese in considerazione sono:
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a) Posizione di lavoro base |
sono presenti 2 indicatori di massima:
Maggiorazioni per posizione eretta | |
Maggiorazioni per posizione non naturale |
solitamente si elencano 5 posizioni di base:
Seduto | |
In piedi | |
Inginocchiato | |
Coricato | |
In marcia |
b) Atteggiamento del tronco e degli arti |
La valenza che l’atteggiamento del tronco e degli arti viene ad avere, varia in relazione alle posizioni base di lavoro, quindi l’elencazione di tutti i possibili intrecci la evito perché è recuperabile dalla tabella acclusa (Tab. FIAT Fatt. Rip.)
c) Resistenza opposta dal mezzo meccanico o dal peso |
La resistenza opposta dal mezzo meccanico o dal peso è quantificabile in giudizi grezzi ma interpretabili (più elastici) (Tab. FIAT FR – Funzioni)quali:
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(L) | ||
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(M) | ||
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(P) | ||
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(PP) |
o più rigidamente in Kg. (Tab. FR – SATA – Melfi).
Naturalmente la percentuale di fattore di riposo assegnabile in rapporto al peso o allo sforzo varia in relazione sia alla posizione base del corpo che agli atteggiamenti del corpo e degli arti.
Il buon senso ci suggerisce anche che in relazione allo sforzo fisico è bene inserire un diverso trattamento in relazione al sesso, ed infatti, come si può vedere dalla tabella (Tab. Fatt. Rip. GB), ogni 2 Kg circa il fattore di riposo varia, e già a 2 Kg di sforzo si manifesta una differenza tra i sessi che si incrementa man mano che i pesi aumentano. Altra considerazione da tenere presenta è la frequenza degli spostamenti o delle azioni che ovviamente deve pesare in percentuale di maggiorazione.
I punti D-E-F dell’allegato, essendo più misurabili di altri, sono normati sia a livello nazionale o internazionale dai M.A.C. (Massimi di concentrazione accettabili); dove questi non fossero presenti, esistono tabelle o indicatori di “massimali consigliati” quindi i primi indicatori a cui fare riferimento sono sicuramente questi.
I MAC ed i massimali consigliati non sono però asetticamente assumibili come discriminanti nella contrattazione perché, per essere ritenuti validi, è bene che siano validati consensualmente dai gruppi operai interessati nelle specifiche e globali condizioni produttive nelle quali i singoli ed i gruppi lavorano.
d) Illuminazione |
I valori di illuminazione sono basati sull’unità di misura chiamata Lux che corrisponde ad un flusso luminoso di un Lumen per m2, gli strumenti usati per la misurazione sono i fotometri.
Data l’esistenza di valori generali d’illuminazione raccomandati (American Standard Practice) espressi in termini di lux (tavola Lux), la non corrispondenza della realtà a questi indicatori può prevede la compensazione tramite maggiorazioni che sono rilevabili nella tabella (all. n°3-A) caso C.
e) Condizioni ambientali Per condizioni ambientali si intendono:
Sul microclima la valutazione è facilmente attuabile dagli addetti tramite i propri mezzi sensoriali, su questo tema è anche presente una vasta letteratura medica internazionale. Gli strumenti usati per la misurazione sono:
Prima di affrontare i dati presenti in una tabella di maggiorazioni assegnabili, da utilizzare come riferimento, è bene ricordare i consigli contenuti in un volumetto edito dal Factory Department del ministero del lavoro inglese negli anni 50. In sintesi consiglia di attrezzarsi onde ottenere un ricambio totale dell’aria dell’officina 6 volte all’ora dove le attività sono sedentarie, e 10 volte dove si compiono sforzi fisici. Per quanto riguarda la velocità di movimento dell’aria in officina, consiglia di contenerla in 15 metri al minuto durante l’anno per elevarla a 45 metri al minuto nei mesi estivi con un tasso di umidità compatibile tra salute degli addetti, clima esterno e ciclo di lavorazione. Per fumi, polveri, vapori e esalazioni consiglia l’abbattimento alla fonte il più possibile; per l’aria indica in 11,5 m3 d’aria per persona un buon rapporto tra cubatura libera e addetti nei reparti. Tolto rare eccezioni, buone condizioni ambientali non sono molto diffuse nelle nostre aziende di produzione di serie, quindi, il giudizio sulle condizioni esistenti e la richiesta di maggiorazioni di riposo e pause deve avvenire principalmente attraverso la validazione consensuale degli addetti e da una attenta ricostruzione/conoscenza del ciclo, delle sostanze usate e degli effetti che queste procurano ai lavoratori esposti. Durante la contrattazione, la valutazione della nocività avviene generalmente tramite i soliti indicatori grezzi: Condizioni ambientali
dove per Cattive e Pessime si intendono sempre condizioni che non violino i M.A.C. sanciti per legge. Durante la trattativa del maggio 1987 per la creazione del Gruppo Alfa-Lancia, la vecchia tabella FIAT (anche per rispondere alla più evoluta tabella dell’Alfa-Romeo) prevede per le condizioni ambientali una maggiorazione del +1% al +10% (vedi allegato). In una tabella simile è presa in considerazione – La Condizione di Aerazione – che prevede, escludendo le variazioni derivanti dai fattori climatici, le seguenti maggiorazioni:
Per quanto riguarda la valutazione del microclima (temperatura, umidità, ventilazione), nel mondo anglosassone è presente una scala riferita al termometro Kata o Catatermometro. Questo strumento indica il tasso di assorbimento del calore dall’atmosfera circostante ed esprime i valori in millicalorie per cm2 per secondo. Nella tabella la % di maggiorazione si applica sull’intera durata del turno di lavoro; se per esempio il termometro Kata desse un valore di 5 (punto E (Vedi Tab.), i lavoratori soggetti a quelle lavorazioni dovrebbero, per poter continuare a lavorare, assentarsi dall’officina e sostare in condizioni climatiche ottimali, per il 30% circa del tempo di presenza in officina; da non dimenticare poi che i valori si riferiscono a lavoratrici e lavoratori acclimatati. Quindi, tentando di riassumere, non bisogna dimenticare che nella contrattazione delle maggiorazioni per le condizioni ambientali nocive, queste devono essere assegnate sui tempi attivi del ciclo, perché rallentando il ritmo di lavoro si riduce l’assunzione di elementi nocivi. Quando però la nocività è data, per esempio dal calore (forni, clima atmosferico, ecc.) o dal rumore, la maggiorazione deve essere data fuori dal tempo ciclo e deve agire sulla saturazione complessiva dell’addetto tramite l’assegnazione di pause. Questa prassi serve a non inquinare i tempi standard, ad esempio nel caso di forti sbalzi climatici tra l’estate e l’inverno, o per mettere in evidenza una maggiorazione che, a fronte di bonifiche ambientali o miglioramenti tecnologici, può essere soppressa. In casi particolari, che gli interessati dovranno valutare, è possibile contrattare un equilibrio tra le due forme di assegnazione o l’assunzione piena di entrambe. |
f) Rumorosità – Vibrazioni |
La possibile nocività del suono è data dalla combinazione di pressione e frequenza, gli strumenti usati per la misurazione sono i fonometri. Il forte rumore non è soltanto fonte della malattia professionale nota come Sordità ma dispiega i suoi effetti nocivi al di là del sistema uditivo dato che contribuisce ad aumentare la tensione muscolare, l’affaticamento mentale e favorisce l’aumento di malattie aspecifiche quali disturbi digestivi, ulcera, ansia.
L’indice di rumorosità è basato sull’unità di misura chiamata Decibel che misura l’onda di pressione, di cui è costituito il suono, in abbinamento con la frequenza, numero delle vibrazioni emesse. Anche in questo caso sono sanciti M.A.C. espressi in termini di decibel, peggiorati dalla legislazione europea (da 85 a …………), ma è certo che lavorando in ambienti rumorosi, in vicinanza ai livelli di soglia, il danno è accertato.
Sancito che se l’impianto supera i MAC è necessaria una bonifica radicale, in vicinanza di detti limiti è indispensabile che i lavoratori godano di pause per allontanarsi dalla zona di nocività, ed in presenza di rumorosità diffusa godano di fattori di riposo adeguati. Alcune maggiorazioni assegnabili sono rilevabili (punto G (Vedi Tab.).
g) Grado di attenzione |
L’indicatore principale per leggere questo effetto stancante è la stanchezza degli occhi ed il mal di testa, frutto di prolungata attenzione al pezzo in lavorazione o all’utensile o attrezzo che si usa. Anche in questo caso possono valere alcune indicazioni presenti nella (punto D (Vedi Tab.).
h) Sforzo mentale – Ansia |
In questo caso l’indicatore è la stanchezza procurata dallo sforzo mentale causato da una concentrazione prolungata necessaria ad esempio per continui semplici calcoli, oppure la memorizzazione di un ciclo di lavorazione o di montaggio abbastanza lungo e ricco di varianti, ecc.
Per l’ansia può valere come esempio il disagio derivante dalla responsabilità di conduzione di più macchine operatrici. Anche in questo caso valgono alcune indicazioni presenti (punto H (Vedi Tab.).
Considerazione. Un ciclo può essere fortemente innovato e complesso, pur in presenza di una mansione ripetitiva di serie, quindi il grado di attenzione, lo sforzo mentale e l’ansia possono essere il principale effetto stancante. E’ bene che in questi casi le maggiorazioni confluiscano principalmente nella ridotta saturazione complessiva, intervenendo non tanto sulla maggiorazione del tempo ciclo quanto sul rapporto tra tempo di presenza in officina e tempo di effettivo lavoro, tramite un originale e specifico regime di pause.
i) Spazio di lavoro – Libertà di movimento |
In questo caso l’indicatore è il grado di libertà di movimento fisico dell’addetto nell’ambito del posto di lavoro.
Più volte, sia in processi tecnologici datati o innovati, la cura ergonomica della postazione di lavoro e il layout dello stesso sono carenti per cause varie, questa maggiorazione sopperisce, in parte, a questi errori. La maggiorazione è valida solo nel caso che la carenza non sia lesiva della sicurezza.
l) Monotonia – Ripetitività – Noia |
In questo blocco confluiscono effetti stancanti diversi, riconducibili principalmente ad un ciclo breve fortemente ripetitivo; questo procura sia affaticamento fisico al corpo (dita, mani, arti, tendini), che affaticamento psichico con rischi di natura anche infortunistica. In questo caso valgono alcune indicazioni presenti (punti I-L (Vedi Tab.).E’ interessante notare che a fronte di un ciclo molto noioso la maggiorazione per gli uomini è molto più alta che per le donne forse dettata dalla “capacità dissociative” maggiori nelle donne rispetto agli uomini?
m) Indumenti protettivi |
L’obbligatorietà dell’uso di strumenti protettivi per norme antinfortunistiche rallenta oggettivamente la prestazione di lavoro, può limitare i movimenti del corpo, l’articolazione delle dita, la traspirazione cutanea e la ventilazione polmonare, costringe l’addetto a limitare anche piccole esigenze quali fumare una sigaretta, soffiarsi il naso, ecc. Bisogna aver visto gli effetti ad esempio di un’allergia da olio per capire l’importanza dei guanti invisibili (creme protettive) o dei guanti in tela, cuoio o gomma.
La citazione degli strumenti protettivi previsti nel ciclo di lavoro dovrebbe essere obbligatoria nella descrizione di un moderno metodo, come pure dovrebbero essere elencate le pause e le maggiorazioni per un corretto e possibile uso degli stessi. Da non dimenticare poi (vedi sentenze della magistratura Torinese in merito) che sia il prelievo a inizio turno che il deposito a fine turno degli strumenti di lavoro e di protezione, devono essere conteggiati come tempo nel ciclo e non regalati al padrone. Un primo elenco, passibile di arricchimenti in relazione ai vari settori merceologici ed ai vari cicli, potrebbe essere quello recuperabile dalla tabella (vedi) dell’ITALTRACTOR (1984) che elenca:
Guanti in tessuto o cuoio |
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Guanti in gomma |
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Guanti in amianto |
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Scarpe antinfortunistiche |
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Stivali |
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Occhiali colorati o maschera schermo |
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Maschera filtrante in cotone |
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Maschera filtro |
n) Disagio relativo al turno di lavoro |
Dato che tradizionalmente i montaggi non venivano effettuati nei turni notturni, poca esperienza è stata prodotta sul disagio derivante dal lavoro in questi turni, come poca esperienza è stata prodotta nell’alternanza dei turni (2 – 3 – 5 turnazioni settimanali turnazioni speciali, :12, 13, 14, 15, 18, 21 turni:::::::::::::::::). Avendo provato di persona diverse situazioni di quelle elencate posso affermare che un carico di lavoro ha una faticosità diversa se effettuata nei turni diurni o nel notturno; e ben diversa è una prestazione in regime di alternanza “normale” 1° e 2° a fronte di rotazioni su 3 o 5 settimane con regime di compensazione o meno. Il lavoro notturno si sta purtroppo diffondendo con caratteristiche di piena normalità produttiva, si concedono deroghe alla legge che impedisce l’utilizzo del personale femminile quindi, secondo il mio parere, per essere coscientemente presenti, moderni e avanzati, questa oggettiva problematica deve essere presente al tavolo di contrattazione.
Maggiorazioni speciali |
Nelle maggiorazioni speciali confluiscono tutte le aggiunte di tempo che derivano da attività collaterali al ciclo base, possono essere fisse o saltuarie e devono essere chiaramente esplicitate dall’analista nella fase di definizione del metodo di lavoro nonché presenti nei fogli analisi. Per semplicità di esposizione si usa suddividerle in 3 classi:
a) Maggiorazioni per attività periodiche |
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b) Maggiorazioni per interferenza |
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c) Maggiorazioni per imprevisti |
a) Maggiorazioni per attività periodiche
In questa classe confluiscono tutte le attività derivanti dalla sostituzione periodica degli utensili, dai controlli funzionali e di messa a punto, ecc. Il costo di queste attività è ripartito proporzionalmente su tutto il periodo (n° cicli) e viene aggiunto al ciclo base (tempo per pezzo), come “maggiorazione” per attività periodica.
b) Maggiorazioni per interferenza
In questa classe confluiscono principalmente le maggiorazioni di tempo dovute ai “tempi morti” (interferenza ciclica o casuale) per imperfetto abbinamento macchine. La maggiorazione deve essere assegnata, come ho già detto precedentemente, per non snaturare la logica di costruzione del tempo di lavoro, l’architettura stessa dell’eventuale piano di incentivazione presente e per non penalizzare il guadagno del lavoratore che perderebbe interesse all’incentivazione stessa.
c) Maggiorazioni per imprevisti
A questa classe appartengono le maggiorazioni che devono essere assegnate per imprevisti, solitamente legate alla carente organizzazione padronale, che si sa con certezza che insorgono ma che non è economico analizzare nel dettaglio. Il loro riconoscimento solitamente è inferiore al 5% del tempo ciclo, quindi prima di accettare un pagamento forfetario degli imprevisti è bene che il contrattatore accerti la loro natura ed il loro ammontare.
Causali ad economia Nella classe degli Imprevisti confluiscono anche le maggiorazioni che nella contrattazione solitamente vengono accorpate nelle “Causali ad economia”. Queste maggiorazioni influiscono sia sul tempo di lavoro che sugli aspetti salariali. Un’elencazione, passibile di modifica in relazione al settore merceologico ed al tipo di ciclo, potrebbe contenere:
In questo elenco, che più è lungo più semplifica la successiva gestione della contrattazione in officina, sono presenti carenze organizzative largamente imputabili non al caso ma a chi organizza i fattori della produzione che, senza accordi che prevedano scenari diversi, sono i tecnici, i gestori ed i dirigenti e non gli operai diretti retribuiti ad incentivo o gli indiretti. Subire perdite di salario per cause non dipendenti dalla propria volontà e/o capacità non è giusto, quindi la contrattazione degli effetti che queste perdite di efficienza hanno sia sul livello di intensità della prestazione che sulla retribuzione incentivata sono doverosi. Per quanto riguarda il tempo ciclo di lavorazione è preferibile per tutti non inquinarlo con elementi spuri, quindi è meglio definire una possibile e contrattata maggiorazione per imprevisti lasciando alle “bolle eventuali **” la copertura degli imprevisti restanti. ** Per – Bolle eventuali – si intendono quei moduli prestampati in possesso dei responsabili di squadra che vengono compilati per giustificare, ai vari livelli gerarchici, un calo produttivo sempre imputabile a cause tecniche/organizzative. Per quanto riguarda gli aspetti salariali, il padronato parte quasi sempre da una proposta massima che ipotizza, in presenza delle causali dell’elenco prima esposto, la perdita totale dell’incentivo e la retribuzione ad economia (es. da 133 a 100). In questo caso la logica risposta è quella che recita |
“.. noi siamo qui per lavorare ad incentivo e guadagnare il massimo concordato, se avete delle carenze miglioratevi, non riteniamo giusto perdere salario per causa vostra e vi chiediamo che tutte quelle voci siano retribuite al 100% dell’incentivo stabilito…”. |
Quasi sempre la contrattazione sancisce 2 livelli di compromesso. Il primo consiste in pagamenti differenziati delle varie voci che mediamente oscillano dal 75% al 100%. Il secondo sancisce uno scambio tra obbligatorietà del regime di cottimo massimo ed uno zoccolo di garanzia (base per la retribuzione ad economia) molto vicino al massimo di cottimo stabilito, nel quale confluisce tutto quello che non è stato previsto e non ha influenza sui tempi di lavoro.
Es. Manca la corrente elettrica – mi fermo – non recupero nulla sono pagato ad economia ma mi impegno sempre a lavorare a 133. Alla FIAT Auto, ad esempio, il cottimo è obbligatorio a 133, tutte le perdite di produzione non imputabili al lavoratore sono sostanzialmente a carico dell’azienda e le ore ad economia (pagate con lo zoccolo garantito a 127), penalizzano la retribuzione dei diretti in modo lieve (11 lire ora circa). Per valutare giustamente l’intreccio tra garanzia retributiva e rendimento bisogna collocarlo nel periodo storico di quando è stato concordato (1971) dato che le 80 lire/ora di incentivo su di un salario di circa 80.000 lire/mese erano ben altro delle circa 40.000 lire/mese su 1.700.000 di retribuzione attuale.
Maggiorazioni aziendali |
Nelle maggiorazioni aziendali confluiscono tutte le maggiorazioni che non trovano un loro preciso riferimento nella cronotecnica, sono principalmente il risultato della contrattazione sindacale in relazione a particolarità della politica aziendale o del ciclo tecnologico presente. A titolo di esempio, rientrano in questo campo le saturazioni ridotte e le pause per i lavoratori soggetti a particolari condizioni di vincolo e/o di nocività – vedi i 40′ di pausa alle linee FIAT – (il tema sarà ampiamente trattato nella parte relativa alle lavorazioni di linea o vincolanti).
Considerazioni finali |
Come ritengo sia intuibile, una tabella chiara, assumibile come riferimento per la contrattazione perché ricca di indicatori rispondenti a quelle che sono le esigenze dei vari settori produttivi dell’industria non esiste. Tra gli allegati inseriti, simili a molti altri che ho tralasciato, i dati sono tra loro contraddittori, ed anche le chiavi di lettura della realtà produttiva non sono comuni. Le loro date sono più o meno recenti ma il modello culturale che li ha prodotti è datato e fa principalmente riferimento agli anni 1960-70; per la FIAT bisogna risalire agli anni 50 e forse al condizionamento del piano Marshall.
Questi vecchi modelli, che sono ormai diventati colpevole arretratezza culturale, non consentono di affrontare in modo adeguato la contrattazione della prestazione sulla nuova o.d.l. che emerge in alcuni settori o che si consolida in altri. Il nuovo ha al suo centro vecchi disagi che si ampliano (vincoli, parcellizzazione, ripetitività), vecchie faticosità e nocività che grazie alle lotte di più generazioni di lavoratori, e con l’aiuto delle innovazioni tecnologiche e la 626, si stanno riducendo (posizioni disagevoli, sforzi fisici concentrati), nuove nocività e rischi che emergono con forza, dagli infortuni alle tendiniti ai nuovi vincoli impiantistici per confluire in quel mondo tutto da scoprire che sono i disagi derivanti dai nuovi gradi di attenzione, di conoscenza, di impegno e partecipazione.
Personalmente mi domando come mai la sacrosanta attenzione che sindacati, mondo della ricerca e magistratura stanno dedicando ai rischi, ai disagi ed ai disturbi per il lavoro ai computers, non trovi almeno pari dignità per altre mansioni produttive molto più diffuse, più faticose e nocive. L’impatto che questo insieme di cose ha e avrà sul lavoro femminile, in alcuni modelli (FIAT ad esempio) non è nemmeno contemplato come indicatore possibile. I grandi gruppi e le grandi aziende, come sempre fanno scuola, per quanto riguarda la FIAT, in tutte le aziende direttamente collegate (SATA, FMA, Marelli, Teksid e Comau principalmente) siamo già alla fase di rapida avanzata del TMC-2 e del modello melfitano, ed in molte contrattazioni effettuate sia a livello nazionale che locale è stata sindacalmente sottoscritta la vecchia tabella dei fattori di riposo senza neanche pretendere la modesta miglioria apportata durante la contrattazione del 4/5/1987 (Accordo Alfa-Lancia).
A corollario di queste iniziative, una miriade di aziende medie e piccole stanno percorrendo la strada del reinserimento o perfezionamento dei sistemi di predeterminazione della prestazione e, purtroppo, la contrattazione produce poco o nulla di nuovo, non tanto per rapporti di forza sfavorevoli ma principalmente per scarsità di idee e proposte da parte sindacale. Dopo queste brevi considerazioni, secondo il mio parere ogni azienda dovrebbe costruirsi una sua tabella, partendo certamente dall’esistente e dal meglio che le scienze produrranno, ma calandosi nella propria realtà produttiva, nel proprio ciclo, valutando la mano d’opera occupata e gli orari di lavoro presenti, ma basandosi soprattutto sull’esperienza concreta di tutti i produttori, donne e uomini, siano essi operai, tecnici, gestori o dirigenti.
Il consiglio che mi permetto di dare a chi dovrà fare contrattazione è quello di non dimenticare nessun titolo anche se in quel determinato momento alcuni non saranno usati, perché la contrattazione su questa materia non si effettua ogni anno, ed il capitolo delle maggiorazioni è una sorta di bibbia che si riscrive raramente. Aspiriamo ad essere Sindacato Generale e Sindacato dei Diritti, sicuramente un sistema di regole certe che normi in modo civile la prestazione di lavoro è stato sempre utile ma è oggi indispensabile per affrontare le sfide che il futuro ci presenta. Sembra che tutti si muovano per ricercare, parafrasando un famoso titolo di Norbert Wiener – L’uso umano degli esseri umani -; in questa lunga strada compito del sindacato è anche quello di riproporre al mondo della scienza e della ricerca uno nuovo terreno di comune analisi anche su questi temi, per facilitare il compito dei contrattatori affinché, pur tra approssimazioni ed errori successivi, si possa avere sempre un sistema di regole certe che permetta di normare la prestazione di lavoro.
Il tempo totale |
Per tempo totale (espresso con il simbolo T.T.) si intende la somma dei: – Tempi attivi (corretti dall’eventuale regime di pause) – Fattori di riposo – Fattori fisiologici Anche questo tempo può essere espresso o a base 100 oppure incentivato, tutto dipende da come è stato impostato il tempo attivo in relazione all’accordo stipulato. Oggi, solitamente, il tempo totale come pure il tempo attivo sono espressi in valore effettivo (minuti centesimali).
La saturazione |
Per saturazione si intende il rapporto tra il tempo di lavoro ed il tempo di presenza in officina.
TEMPO DI LAVORO ————————————– * 100 = % SATURAZIONE TEMPO DI PRESENZA |
Dato che il tempo di presenza in officina cambia unicamente mutando l’orario di lavoro giornaliero, la base 100 risulta chiaramente identificabile; per quanto riguarda invece il tempo di lavoro il riferimento non è univoco, dato che detto tempo è possibile scomporlo in tempo attivo, fattore di riposo, fattore fisiologico, tempi passivi, mancate saturazioni, pause aggiuntive varie.
Da queste considerazione, risulta indispensabile sancire in modo inequivocabile quale riferimento si assume, in termini di tempo di lavoro, contrattando il livello di saturazione degli addetti.
Esempi:
Se si assume come base 100 il tempo di presenza in officina e riferiamo il livello di saturazione all’insieme degli indicatori, affermiamo che il lavoratore è saturato al 100% sui Tempi Totali; infatti i tempi attivi maggiorati delle percentuali per fattore di riposo e fattore fisiologico possono coprire interamente ma, ovviamente, non superare il tempo di presenza in officina.
Saturazione sui Tempi Totali = 100 %
Se si assume come base 100 il tempo di presenza in officina e si toglie unicamente il fattore fisiologico (es. 4%), il lavoratore è saturato al 96% (Tempi attivi + Fattori di Riposo) infatti:
100 – 4% = 96% che equivale a 450′ – 18′ = 432′ circa
Se si assume come base 100 il tempo di presenza in officina la saturazione massima di un lavoratore che lavora seduto e monta dei particolari leggeri in un ambiente complessivamente buono, potrebbe portare alla seguente saturazione sui Tempi AttiviI:
F.R. = 1%
F.F. = 4%
100 – (1+4) = 95% che equivale a 450′ – 22,5 = 427,5
Questo vuol dire che il lavoratore in questione è sempre saturato al 100%del suo tempo di presenza, ma, se prendiamo come riferimento i soli tempi per la trasformazione del prodotto (Tempi Attivi), questi è saturato al 95%mentre rimane saturato al 96% se facciamo riferimento ai Tempi Attivi + F.R. ed al 100% se facciamo riferimento ai Tempi Attivi + Fattori di Riposo + Fattore Fisiologico.
Per concludere questi esempi, ipotizziamo il lavoratore precedente che lavorando in condizioni di nocività o di vincolo, abbia conquistato una pausa individuale aggiuntiva del 4%; questo lavoratore continuerà ad essere saturato al 100% sul Tempo di Presenza, ma sui Tempi Attivi sarà saturato al 91% [100 – (4% Pausa + 4% Fattore Fisiologico + 1% Fattore di Riposo)].
Per quanto riguarda lavorazioni particolari, ad esempio le linee di montaggio o cicli nocivi, è possibile sancire saturazioni ridotte direttamente sui tempi attivi ma queste ipotesi saranno esaminate nel manuale, nel capitolo relativo alle linee di montaggio.
Mi sono volutamente dilungato su questi aspetti della Saturazione perché è un punto dove sovente i contrattatori fanno confusione; quando si sancisce un determinato livello di soglia bisogna sapere quali sono i riferimenti. Pertanto è necessario precisare se la base 100 è relativa al tempo di presenza in officina o altro riferimento; se la Saturazione Massima è individuale o collettiva, se riferita ai soli Tempi Attivi oppure ad indicatori misti (Tempi Attivi + Fattori di Riposo + …) che devono pur sempre essere chiaramente esplicitati e controllabili.
Tutto questo è indispensabile al fine di rendere chiaro alle parti, ma soprattutto ai lavoratori, l’esatta modalità di calcolo e verifica della saturazione, che vuol semplicemente dire quanti minuti si deve effettivamente lavorare ad incentivo.
Il regime delle pause Le pause sono delle riduzioni del tempo di attività, si sanciscono sempre per accordo e sono principalmente contrattate in presenza di nocività o di vincolo impiantistico. Il come sancirle varia da accordo ad accordo, da ciclo a ciclo, più volte la loro collocazione, per esigenze di calcolo o per semplificazione di contrattazione, avviene nell’ambito dei fattori di riposo o dei fattori fisiologici, stabilendo un loro ampliamento in percentuale. Personalmente ritengo che sia sempre più corretto, più chiaro, sancire le pause e la loro entità come fatto distinto dalla struttura classica del tempo di lavoro onde evitare confusioni e difficoltà nei conteggi e nelle verifiche. Le pause possono essere collettive (si ferma l’impianto per x minuti) o individuali (Pausa a scorrimento – i lavoratori si fermano a turno), utilizzando per la sostituzione un rimpiazzo che sostituisce di volta in volta i lavoratori addetti.
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Saturazioni ridotte |
Sempre riconducibili al regime delle pause possiamo far rientrare le diminuzioni delle saturazioni; in sostanza si tratta di saturare meno di quanto stabilito come massimale (intervenendo sui tempi attivi), lavoratori soggetti a condizione di vincolo o di nocività. Questi lavoratori non godranno di pause aggiuntive ma lavoreranno meno intensamente.
L’evoluzione della contrattazione in questi anni, dove il regime delle pause è stato contrattato o difeso, ha visto il consolidarsi di norme che prevedono la non penalizzazione dell’efficienza impiantistica, letta soprattutto in termini di volumi producibili, quindi la scelta si è prevalentemente indirizzata sulle pause a scorrimento.
Il concetto di tempo ciclo Per tempo ciclo si intende la quantità di tempo impostata o contrattata (la FIAT usa anche il termine di “concessa“), per eseguire un determinato lavoro. Sulle linee di montaggio per tempo ciclo (chiamato anche Cadenza), si intende il tempo necessario allo spostamento di un prodotto da una stazione di lavoro ad un’altra stazione successiva. In detto tempo, tutti gli elementi che concorrono alla sua definizione (TA – FF – FR – Saturazioni ridotte) devono essere presenti e non possono logicamente superare quanto pattuito tra le parti.
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Il concetto di costo unitario |
Per costo unitario di un prodotto generalmente si intende il costo dalla progettazione alla commercializzazione; nel nostro caso, in rapporto alla nostra impostazione, intendiamo il costo in termini di tempo per produrre una unità, un pezzo. Su di una linea che produce un solo prodotto il costo unitario è singolo e varia unicamente con il variare del rapporto produzione/organico in relazione o all’accordo sindacale o per effetto di un diverso bilanciamento.
Su di una linea promiscua i costi unitari sono diversi, uno per specialità o variante, detti tempi variano ulteriormente sia per effetto del diverso rapporto produzione/organico che in relazione o all’accordo sindacale o per effetto di un diverso bilanciamento.
Ulteriori variazioni possono intervenire unicamente mutando il prodotto, l’attrezzatura in dotazione, l’impiantistica o l’accordo sindacale sull’indice di cottimo o sulle saturazioni.
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