I collegamenti della prestazione con la 626

 

Come già ricordato, la difesa della qualità della vita di lavoro presuppone la contrattazione della mansione assegnata con la verifica degli indicatori ambientali e di sicurezza dove questa si svolge.

Basta sperimentare una contestazione di merito su certi carichi di lavoro per verificare che a volte la maggiore protesta dell’addetto non è tanto incentrata sulla quantità di lavoro da svolgere nell’unità di tempo quanto sulle condizioni ambientali in cui si svolge (microclima, presenza di fumi polveri esalazioni, ecc.) o su possibili rischi infortunistici dove, per ridurli, il ciclo assegnato viene modificato, rallentato, interrotto e quindi più faticoso.

Per i nostri padri ed in parte anche per la nostra generazione, fatica, infortuni, malattie professionali, erano una sorta di sofferto ma consapevole dazio da pagare anche perché il come affrontare i problemi per iniziare concretamente a risolverli era marginale oggetto di discussione date le difficoltà oggettive, e nel migliore dei casi si monetizzava la salute tramite, paghe di posto, disagi linea, disagi turni, ecc.

Purtroppo, tutta la legislazione dalla introduzione dell’assicurazione obbligatoria del 1898, ai regi decreti confluiti nel Codice Rocco e nel Codice Civile, gli articoli della Costituzione ed i successivi DPR 55-56 ecc., benché rilevanti sul piano teorico erano sostanzialmente sconosciuti al mondo operaio, più volte inapplicati e tutto era demandato ai padroni o ai loro gestori.

La contrattazione delle problematiche ambientali, di sicurezza antinfortunistica e di difesa dell’integrità psicofisica degli addetti, finalizzata alla prevenzione, al rispetto delle norme esistenti ed alla loro attuazione estensiva, è iniziata principalmente nel corso degli anni 70′ anche se il terreno politico-culturale e di esperienze strutturate erano già presenti nella prima metà degli anni 60′, e l’area torinese era un laboratorio di straordinaria vitalità.

Con l’autunno caldo i lavoratori conquistando, nelle fabbriche e nel paese, il passaggio da sudditi a cittadini, approfondiscono le motivazioni della nocività ambientale, prendono coscienza che la fatica fisica ed il rischio infortunistico non erano connaturati alla condizione operaia, quindi poco mutabile, ma poteva e doveva essere ridotta intervenendo non soltanto sull’orario ma anche sull’applicazione delle leggi esistenti e soprattutto sull’organizzazione del lavoro globalmente intesa che era patrimonio e ambito esclusivo delle scelte padronali.

Scopriamo, in ultima analisi, che anche la fabbrica e l’ufficio e non solo la società, possono diventare terreno di conquista di diritti e regole contrattate e non solo luoghi dove subire l’arbitrio padronale. Lo slogan – la salute non si vende – è indicativo dell’approccio diverso che sindacato e mondo del lavoro assumono in quel periodo. 

La famosa dispensa FIOM sull’ambiente di lavoro del 1969, diventata poi dispensa unitaria FIM-FIOM-UILM nel 1971 (vedi), non nasce all’improvviso ma è proprio la formalizzazione degli studi e delle esperienze strutturate di un gruppo di intellettuali, di sindacalisti e di operai delle Commissioni Interne torinesi pazientemente coltivate ed elaborate nel corso di anni.

Intere generazioni di lavoratori di delegati e sindacalisti, attraverso i quattro gruppi di fattori, hanno imparato a leggere ed a discutere la condizione di lavoro con un linguaggio comune e con comuni criteri interpretativi, sono stati addestrati a conoscere le Leggi e le norme esistenti, a farle applicare ed a verificarle attraverso gli strumenti della – non delega – e della – validazione consensuale degli addetti – e, per una buona parte di questi, a ricercare attraverso la gestione del tutto un – ruolo egemonico della classe operaia o dei produttori -.

Per molti i due filoni della contrattazione – prestazione di lavoro e ambiente e sicurezza – si sono fusi in un modello unico ed inscindibile che si completavano integrandosi l’un l’altro.

Alla FIAT, l’intervento dei delegati così impostato creava non poche difficoltà alla controparte perché gli uffici analisi lavoro non erano preparati a rispondere a contestazioni in merito alle problematiche ambientali e di sicurezza, l’ufficio ambiente e sicurezza non sapeva nulla dei modelli e delle problematiche dell’analisi lavoro, ed il medico di fabbrica era largamente a digiuno di entrambe le discipline. Direzione, servizio personale e gerarchia erano assolutamente impreparate a servirsi delle strutture tecniche ed a svolgere funzioni di coordinamento.

In un primo momento molte direzioni aziendali hanno tentato di mantenere scisse le varie tematiche rifiutandosi di accettare le contestazioni “multidisciplinari” pretendendo tavoli separati per ogni problema. Con il tempo ed i rapporti di forza favorevoli la contrattazione mista è diventata la prassi e più volte, in presenza di rischi particolari,  la contrattazione si è svolta anche con la presenza diretta di tutti gli enti preposti.

Com’è facile intuire, più le esperienze si accumulavano più crescevano le poliedriche competenze dei migliori delegati e, data la complessità dei problemi esistenti, era quasi sempre l’azienda a dover riconoscere di essere in difetto a chiedere comprensione e tempo e, al limite, dover riconoscere che per risolvere un determinato problema si sarebbe dovuto trasformare progressivamente ma radicalmente il ciclo di lavoro, l’officina o interi impianti.

Prendendo coscienza di leggi e norme ed avendo anche, alla bisogna, l’opportunità di trasferire il problema all’esterno facendo intervenire l’Ispettorato del Lavoro, che poteva sancire prescrizioni da ottemperare in un determinato tempo, il “potere” che si acquisiva non era solo più sancito dai rapporti di forza ma leggi e norme diventavano diritti fruibili, tutte cose impensabili pochissimi anni addietro.

Con lo studio e l’uso del DPR (semplificavamo in questo modo il testo illustrato di 600 pagine con copertina verde prodotto dalla FIAT nel 1971 vedi) scoprivamo di continuo norme che utilizzate dai Comitati su cui si articolava il C.d.F., e pubblicizzate con i volantini e nelle quotidiane assemblee nei refettori, producevano il risultato che l’intere fabbrica si sensibilizzasse ai problemi ambientali e antinfortunistici oltre che eccezionale strumento di segnalazione e di denuncia.

Per giustamente valutare questi fatti basti citare la campagna di bonifica dei convogliatori di alimentazione o spedizione dei materiali (decine e decine di chilometri a Mirafiori) che erano sprovvisti di arresti in caso di rottura nelle discese o con gli stessi non tarati e quindi non funzionanti (vedi), oltre agli arresti, in occasione del distacco di alcuni pendenti portapezzi, scoprimmo che la verifica dell’usura dei perni di aggancio tra pendenti e catena non era mai stata effettuata da anni quindi abbiamo preteso la verifica delle migliaia di perni presenti scoprendone centinaia usurati e decine prossimi alla rottura.

Altro esempio è stata la contestazione della disposizione planimetrica delle postazioni di lavoro in vicinanza di organi in movimento di varia tipologia (convogliatori a piano terra, paperini interni, traslatori vari, ecc.) che erano al disotto dei 70 cm., misura limite sancita nei DPR.

Altra contestazione è stata la lotta per l’eliminazione di criminali abitudini tollerate da parte della gerarchia, è più volte taciute ed utilizzate anche da singoli lavoratori, consistenti nella manomissione di strumenti di sicurezza (micro, elettrovalvole, doppie pulsantiere, ecc.). Manomissioni attuate per velocizzare il flusso produttivo o per risparmiare tempo durante le fasi di ripristino dopo interruzioni per cause varie.

Gli interventi coprivano tutto il ciclo produttivo comprese le ditte appaltatrici che pur di stare all’interno dei tempi assegnati o anticipare i tempi di consegna dei lavori, violavano le norme per i loro dipendenti e procuravano rischi anche agli stessi lavoratori Fiat, ma ovviamente gli interventi che più davano senso al ruolo dei delegati e dei comitati erano quelli a ridosso delle mansioni assegnate (vedi).

L’organizzazione del C.d.F. su questi temi era parcellizzata a livello di ogni officina per la raccolta delle informazioni e la stesura delle contestazioni, e centralizzata per la contrattazione (Esecutivo più delegati ed esperti di ogni realtà coinvolta). Il tutto era archiviato (richieste e risposte) e queste memorie diventavano, abbinate alle fotocopie dei rilievi base dei cicli, uno strumento formidabile di stimolo nei confronti della gerarchia affinché i problemi irrisolti non fossero dimenticati, e certificazioni ufficiali che, alla bisogna, erano prove per l’Ispettorato, in tribunale, ecc. (vedi).

Il consolidarsi di questa azione dei comitati ed il mutare dei tempi ha segnato il definitivo tracollo dello strapotere della gerarchia d’officina, ed il delimitarsi sempre più preciso dei ruoli e del potere dei vari enti, dal servizio personale come elemento di coordinamento agli uffici tecnici, analisi lavoro, sicurezza e ambiente, medico di fabbrica, ecc.

Può sembrare paradossale ma è proprio nel corso della prima metà degli anni ’70 che gli stabilimenti FIAT ridiventano fordisti sotto l’aspetto gestionale ridefinendo ruoli, competenze e potere dei vari enti nel solco canonico del modello. Mutamenti che si sono poi sempre mantenuti anche a fronte delle innovazioni tecnologiche ed alla riorganizzazioni degli stabilimenti e del gruppo dalle – divisioni – per comparto tecnologico, alla fabbrica snella, integrata ed a rete.

Quanto dell’azione rivendicativa, degli stimoli e delle concrete proposte del movimento operaio di quegli anni sia confluito sui tavoli dei legislatori in termini di ambiente e sicurezza, dei progettisti in termini di migliorie e di radicali trasformazioni impiantistiche e produttive e più in generale sul corpo vivo della società molto è ancora da indagare e da scrivere. Per quanto riguarda la realtà che conosco meglio e dove ho lavorato ed operato con centinaia di delegati gli esempi certificabili sull’ambiente, sulla sicurezza e sull’o.d.l. sono moltissimi, ma due sono eclatanti e perfettamente riconducibili a precise richieste del movimento. Mi riferisco alla nuove linee dello stabilimento di Termoli (Montaggio motopropulsore della 126 vedi) e del LAM a Mirafiori Meccanica (vedi).

Nel divenire degli anni anche la legislazione in materia migliora, dalla Legge 300/70 che sancisce il diritto dei lavoratori a controllare l’applicazione delle norme e di promuovere la ricerca alla 833/78 con i dettati relativi alla vigilanza ed alle ispezioni a tutta la legislazione di fondamentale importanza degli anni ’80  (DPR 175/88 – D. Lgs. 277/91) che ha spianato la strada al decreto 626/94 che completa la “sequenza logica” delle normative precedenti, innovandole e migliorandole sotto l’aspetto qualitativo, e allineandole alle indicazioni dell’Europa comunitaria.

Purtroppo, mentre sul versante legislativo si progrediva, in ambito sindacale si peggiorava. Fine della FLM e crisi dei rapporti unitari, attacco ai C.d.F. con il “superamento” dei rappresentanti di gruppo omogeneo, dei Comitati cottimo, qualifiche, ambiente; passaggio dai delegati alle RSA e poi RSU, nascita delle “commissioni” non più a diretto contatto con il luogo di lavoro, ecc..

Da questo progressivo impoverimento ma grazie al divenire che porta alla 626, gli strumenti a disposizione migliorano sotto molti aspetti. Nasce la figura aziendale dell’R.S.P.P. (Responsabile del Servizio di Protezione dei lavoratori e la figura dell’R.L.S. (Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza) che, pur se non dotata di poteri di contrattazione, viene investita di risorse, opportunità e compiti di straordinaria importanza sanciti dalla Legge.

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 ne consegue che emergono diritti e doveri  mai visti prima in ambito aziendale, che devono:

  1. Informare = dare notizie;
  2. Formare = educare, addestrare;
  3. Consultare = chiedere consiglio, recepire notizie;
  4. Partecipare = condividere decisioni;

e quindi si acquisisce:

  1. il diritto al singolo lavoratore di avere la “Cartella sanitaria e di rischio” (vedi – Art.4 comma 8);
  2. il diritto al singolo lavoratore di essere informato e formato in relazione ai rischi specifici alla sua mansione (vedi – Art.3 comma s-t);
  3. il diritto al RLS di avere le “valutazioni di rischio” (vedi – Art.3 comma 1 (a-b)
  4. il diritto al RLS di conoscere “i risultati anonimi e collettivi, derivanti dall’andamento dello stato di salute dei lavoratori” (vedi – Art.17 comma g);
  5. il rispetto dei principi ergonomici nella concezione dei posti di lavoro, nella scelta delle attrezzature e nella definizione dei posti di lavoro e della produzione, anche per attenuare il lavoro monotono e ripetitivo (vedi – Art.3 comma f)

Oltre a questo è possibile attivare:

il modello per il calcolo del limite di peso raccomandato NIOSH 1993(vedi)

il possibile confronto con l’azienda sulla – Valutazione del rischio derivante dell’esposizione a movimenti ripetitivi degli arti superiori – tramite:

Schemi d’indagine FIOM (Schema-1 / Schema-2)

la Chek-list o il metodo OCRA (vedi)

denunce mirate alla magistratura (vedi)al fine di ottenere il pieno rispetto della legge ed evitare l’insorgere delle specifiche malattie professionali riconosciute (vedi).

per approfondimenti su Check-list, OCRA e altri questionari vedere il volume della Franco Angeli (La valutazione e la gestione del rischio da movimenti e sforzi ripetuti degli arti superiori)

Non è certo compito di questa brevi richiami esaminare l’intera Legge ed il ruolo dell’RLS, la cosa che ci preme affrontare sono i collegamenti dei vari compiti e opportunità dell’R.L.S. a fronte dell sistema di regole che norma la prestazione di lavoro,

Solo un attento esame del ciclo consente di mettere in evidenza i rischi ambientali e di sicurezza, quindi regole di trasparenza, diritti d’informazione, libero accesso a tutti i luoghi di lavoro, conoscenza dei modelli dell’ufficio tempi e metodo sono indispensabili e più volte sono purtroppo assenti.

al fine di evidenziare sia gli indubbi pregi del nuovo scenario e le potenzialità intrinseche, che alcuni limiti che secondo me sono da superare.

Sul tema delle patologie agli arti superiori dovute a sforzi ripetuti il DM del 27-4-04 pone nei fatti i compiti, le esperienze ed i saperi degli addetti ai tempi e metodi in diretto collegamento con i compiti dell’ergonomo e più in generale con il medico competente e il servizio di prevenzione e vigilanza.

Dato che è stato stimato che nella sola Unione europea 1/3 dell’intera forza lavoro occupata (milioni di lavoratori) svolgono attività manuali ripetitive, quindi lavorano a produzione predeterminata largamente soggetta a vincolo, sarebbe logico supporre che l’insieme dei modelli tecnico-scientifici preposti alla quantificazione del come ed in quanto tempo le mansioni debbano essere svolte fosse una delle centralità di analisi e monitoraggio dei tecnici e dei ricercatori che operano sulla salute e sulla medicina del lavoro.

A mio modesto parere non solo la problematica non è centrale ma non è neppure scandagliata a sufficienza, non vengono evidenziate le differenze tra i vari modelli (MTM-1, MTM-2, UAS, TMC-, TMC-2, ERGO-WAS, ecc.) le varie velocità d’esecuzione ed il conseguente livello di sfruttamento possibile ed i rischi conseguenti (vedi). Come conseguenza non vengono poi presi in esame i diversi criteri di assegnazione dei fattori di riposo, dei fattori fisiologici e delle pause per nocività o vincolo, frutto di diverse scuole di pensiero e di contrattazioni sindacali (vedi).

A riprova di questa affermazione, che può sembrare eccessiva, basta esplorare la pubblicistica sulla materia o gli atti dei molti convegni fatti, per rilevare che i modelli in uso non sono presenti neppure come citazioni o richiami. Il peggioramento della condizione di vita di lavoro, e quindi l’incremento di molte patologie, viene certo rilevata e quantificata, ma identificare come una delle cause o la causa principale la metrica del lavoro ed il modello conseguente, quasi sempre sfugge o è sottovalutata.

A prescindere da una valutazione a posteriori degli effetti di una determinata metrica (vedi ad esempio OCRA) molti tecnici della salute non padroneggiando la materia, più volte non riescono a valutare gli accordi sindacali sull’entità del cottimo concordato (velocità d’esecuzione) e sul sistema di regole vigente (saturazioni ridotte per le lavorazioni vincolate, pause, fattori di riposo, fattori fisiologici, differenza di genere, turnazioni, ecc.) e sancendo, ad esempio, 5 primi di pausa ogni ora determinano 37.5 primi di pausa ogni 7.5 ore di lavoro a prescindere dall’intervallo mensa.

Detta fermata in una realtà già normata può essere peggiorativa se non si specifica su quali “istituti” gioca, se è aggiuntiva o sostitutiva; infatti mediamente su di una linea le maggiorazioni sono:

  • 6% di fattore di riposo medio pari a 27 minuti

  • 4% di fattore fisiologico pari a 18 minuti

  • 4% di pausa per disagio vincolo pari 18 minuti

ne consegue che le pause variamente intese per un lavoratore, che è già colpito da danni agli arti superiori per ripetitività e chiede un intervento, sono già di 63 primi come minimo (si può crescere in funzione dell’aumento del F.R. se la faticosità aumenta o si cambia tabella), e quindi una eventuale prescrizione di 37.5 primi non solo non risolve il suo problema ma lo peggiora o al limite sancisce, sbagliando, che tutto è a posto. Se poi, come è successo a Mirafiori dopo l’accordo separato che assume il TMC-2 come metrica del lavoro, la velocità d’esecuzione passa da 133 a 160 e oltre, il non tener conto di questo fatto è semplicemente assurdo.

L’assunzione di principi ergonomici nell’organizzazione del lavoro globalmente  intesa è ovviamente importantissimo ma da soli non bastano e la difesa dell’integrità psicofisica dei lavoratori passa attraverso un giusto ma difficile equilibrio tra tutti i fattori che concorrono a determinare la qualità della sua vita di lavoro.

Se poi riportiamo la problematica in ambito limitatamente sindacale, il ruolo ed i compiti dell’RLS, disgiunti dai compiti di chi è preposto alla contrattazione dell’o.d.l. e della prestazione, pone l’RLS in estrema difficoltà a svolgere al meglio il suo compito, dato che deve segnalare gli effetti nocivi di un modello applicato del quale non conosce molto e che, nel suo percorso formativo, non è previsto neppure l’acquisizione dei rudimenti.

L’attuale organizzazione del lavoro nell’industria metalmeccanica è definibile come una sorta di lunga gamma di grigi dove sono presenti aziende all’avanguardia nell’attuazione dell’organizzazione scientifica, nella ricerca della sicurezza e nell’applicazione della moderna ergonomia, altre che si affacciano timidamente e per la prima volta a questi temi, ed altre ancora dove questi temi sono sostanzialmente assenti. Le dimensioni non sono sempre indicative perché a volte aziende piccole o medio-piccole risultano all’avanguardia mentre altre medie o medio-grandi sono in forte ritardo.

Ne consegue che in una gestione caratterizzata dall’arbitrio padronale, più volte – le disgrazie avvenivano sempre per disgrazia – e, come succedeva sempre ad esempio alla FIAT, nessuno moriva mai in officina ma sempre durante il trasporto o direttamente in ospedale.

Ci fermiamo qui perché nell’analisi degli accordi e nei materiali presenti sul sito il tema è largamente sviluppato

 

 
 

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