Commento all’accordo del 5 agosto 1971

La piattaforma sindacale fu elaborata da un Coordinamento nazionale che rappresentava 38 stabilimenti e 16 filiali; il risultato fu una serie articolata di rivendicazioni che riguardavano essenzialmente la regolamentazione delle condizioni di lavoro, oltre al rafforzamento dei diritti sindacali con la richiesta di riconoscimento dei Consigli di fabbrica. “Cottimo, qualifiche, ambiente” sono le parole d’ordine che ebbero una particolare accentuazione nella vertenza del 1971. Per quanto riguardava il tema del cottimo i sindacati rivendicarono il superamento del sistema retributivo incentivante, la determinazione di saturazioni massime inferiori all’accordo del 1969 e pause aggiuntive, in particolare alle linee di montaggio. Per quanto riguardava le qualifiche le richieste erano di eliminare le categorie più basse e la possibilità di una dinamica professionale contrattata. Sull’ambiente di lavoro la rivendicazione concerneva la dotazione di strumenti che consentissero il monitoraggio dello stato di salute dei lavoratori e l’intervento sulle aree più nocive. Inoltre veniva rivendicato il riconoscimento del Consiglio di Fabbrica e un aumento salariale di 50 lire l’ora. Queste ultime richieste avevano delle valenze innovative: innanzi tutto è facilmente intuibile per il significato che rivestiva la nuova forma di rappresentanza sindacale; ma anche la richiesta di aumenti retributivi era accompagnata dalla scelta di non rivalutare le varie paghe di posto e indennità di mansione, considerate ormai elementi di divisione dei lavoratori e forme risarcitorie delle nocività presenti nei luoghi di lavoro, mentre la nuova politica rivendicativa sindacale si proponeva di eliminare i fattori di nocività. La sintesi di questa scelta era sintetizzata dallo slogan “la salute non si vende”.

Per la sostanza di queste rivendicazioni da entrambe le parti il confronto fu subito presentato come uno scontro di “potere”, dando una forte valenza politica alla vertenza in preparazione.

Le trattative iniziarono il 16 aprile, nello stesso periodo del lancio della “127”, e l’accordo sarà raggiunto alla fine di giugno, anche se la firma formale sarà apposta il 5 agosto: in quel periodo la vertenza assunse un rilievo nazionale. Il ritardo ad apporre la firma definitiva fu dovuto alla Fiat che aveva posto la pregiudiziale di non firmare fino a che non fosse cessato il conflitto a Rivalta, dove un confronto sindacale sui carichi di lavoro si prolungò per tutto il mese di luglio.

La vertenza del 1971 iniziò con un’ampia partecipazione dei lavoratori nei primi scioperi, anche di molti impiegati, che aderirono per le specifiche rivendicazioni inserite nella piattaforma; successivamente però la partecipazione andò scemando. Alla fine della vertenza alla Mirafiori la partecipazione agli scioperi era molto limitata, denotando una situazione di stanchezza dei lavoratori, ma anche, probabilmente, di confusione o di scarsa convinzione rispetto agli obiettivi rivendicativi, che presentavano anche una certa complessità. Un’altra caratteristica della vertenza fu la separazione della trattativa voluta da Fim Fiom Uilm, con l’esclusione del Sida, che aveva presentato una propria piattaforma e alla fine firmò lo stesso accordo di Fim Fiom Uilm separatamente, inaugurando una prassi che durerà molti anni.

L’accordo è molto vasto e articolato (84 pagine), probabilmente uno dei più complessi tra gli accordi Fiat, e ha al proprio centro la regolazione dell’insieme della condizione di lavoro; nei fatti rappresentò un modello di contrattazione per altre aziende, completando l’accordo del 26 giugno 1969 per quanto riguarda la strumentazione necessaria per tutelare il lavoratore rispetto all’organizzazione fordista.

Una norma non prevista nella piattaforma fu la struttura dei comitati sindacali, ognuno dei quali con competenze contrattuali sugli aspetti più importanti previsti nell’accordo: cottimo, ambiente, qualifiche operai e qualifiche impiegati. Si trattava di una forma di specializzazione contrattuale proposta dall’azienda: l’accordo stabiliva esclusivamente la composizione sindacale, definita in sei delegati per comitato. Per quanto concerne la regolamentazione delle linee di montaggio furono stabiliti tetti massimi di saturazione individuale in relazione alla cadenza della linea e delle pause individuali di 40 minuti per turno, con adeguati rimpiazzi, raddoppiando praticamente il fattore fisiologico; fu stabilito che i Comitati Cottimo potevano prendere visione dei tempi di lavoro nei loro singoli elementi costitutivi, consentendo quindi un pieno controllo della prestazione di lavoro; per i lavoratori turnisti la pausa per la refezione fu portata da 30 a 40 minuti di cui 10 pagati dall’azienda, assorbendo i 10 minuti di pausa collettiva previsti dagli accordi precedenti; furono concordati circa 18.700 passaggi di categoria, l’introduzione di alcuni automatismi per i livelli più bassi e specifici profili professionali per i livelli più elevati; furono stabilite una serie di strumentazioni per la tutela della salute dei lavoratori e l’eliminazione dei fattori di maggior rischio. Non fu raggiunto l’obiettivo del riconoscimento del Consiglio di fabbrica, ma comunque fu raddoppiato il numero dei Rappresentanti sindacali aziendali (Rsa) previsti dalla legge, con l’escamotagedegli “esperti”, nuove figure di rappresentanti formalmente subordinate agli Rsa; fu concordato un elevato monte ore sindacale di permessi annui retribuiti (3 ore annue per occupato). Dal punto di vista retributivo fu concordato il sostanziale congelamento dell’incentivo di rendimento di squadra, con un minimo garantito a rendimento 127 e con la possibilità di una variazione retributiva massima di circa duemila lire al mese, tra 127 e 133, anche se i tempi di lavoro assegnati erano sempre a rendimento 133, data la rigidità dell’organizzazione produttiva che non consentiva variazioni individuali della velocità di esecuzione; l’incremento della maggiorazione per i turni notturni dal 30% al 50%; inoltre fu concordato un aumento retributivo di 30 lire l’ora. L’accordo regolava sindacalmente anche alcuni aspetti del “welfare” aziendale, fino a quel momento regolati unilateralmente dall’azienda, come i premi di fedeltà e i premi di frequenza alla scuola per i lavoratori studenti e i figli dei lavoratori; ma introduceva anche nuovi diritti, in termini di permessi retribuiti e non retribuiti, per i lavoratori studenti; oltre che un piano di estensione dei ristoranti aziendali, che avrebbe consentito a tutti i dipendenti l’accesso alla mensa entro il 1973. Una parte specifica era destinata agli impiegati poiché, oltre allo specifico Comitato qualifiche, si introducevano criteri integrativi per i passaggi di categoria, in particolare il passaggio automatico per anzianità aziendale fino alla seconda categoria (l’attuale 5° livello dell’inquadramento contrattuale).

Si trattava quindi di un accordo molto articolato, che modificava sostanzialmente il ruolo del sindacato in Fiat, poiché gli dava un peso sconosciuto negli anni precedenti e lo legittimava all’interno della fabbrica; inoltre rappresentò un punto di riferimento sindacale per molti anni e ebbe conseguenze dirette nell’elaborazione della piattaforma rivendicativa per il successivo rinnovo del Ccnl del 1973.

La complessità delle norme concordate richiedeva successivi momenti di gestione e verifica: in realtà vi furono degli aspetti applicativi, soprattutto sulla prestazione di lavoro, che saranno compresi da entrambi le parti solamente più tardi; nei fatti alcune formulazioni erano molto imprecise e le procedure previste per la gestione erano carenti. In particolare, il punto delle saturazioni massime sulle linee di montaggio fu definito in termini molto generici, in modo tale da lasciare adito a interpretazioni e contenziosi successivi, soprattutto perché la formulazione contrattuale non precisava se le percentuali di saturazione massima individuale si applicavano ai tempi totali di lavoro assegnati, oppure ai tempi attivi, cioè i tempi totali meno i fattori di riposo e il fattore fisiologico. Si trattava probabilmente di un errore o di una sottovalutazione del problema, poiché l’ipotesi della saturazione massima applicata ai tempi attivi avrebbe comportato un abbattimento rilevante della produttività aziendale. Un ulteriore contenzioso relativo alla saturazione massima si determinò sulle linee di montaggio per effetto della constatazione che era impossibile distribuire uguali quantità di lavoro sulle diverse postazioni; ciò comportava due interpretazioni possibili: la prima riteneva che la saturazione massima era una media di gruppo, ma ciò significava che in alcune postazioni si avrebbe dovuto lavorare con un rendimento superiore a 133; la seconda che la saturazione massima era un limite non valicabile, conseguentemente la cadenza della linea avrebbe dovuto essere tarata sulla postazione che richiedeva la maggiore quantità di lavoro, lasciando parzialmente dissaturate alcune altre postazioni.

Una soluzione di questi aspetti interpretativi fu individuata dopo una complessa trattativa che si sviluppò soprattutto nel Comitato Cottimi della Mirafiori Meccanica, probabilmente il punto più avanzato di contrattazione su questi problemi; dove fu sostanzialmente effettuato uno “scambio” tra l’interpretazione più “moderata” sulle saturazioni massime (cioè la saturazione massima si applicava ai tempi totali), con il diritto, da parte dei rappresentanti sindacali, ad acquisire la complessa strumentazione tecnica necessaria a controllare il bilanciamento delle prestazioni lavorative tra le varie postazioni di lavoro, in altre parole la distribuzione dei carichi di lavoro tra i singoli lavoratori posizionati alla linea di montaggio. Con il conseguente sviluppo della contrattazione sui bilanciamenti si affermò inevitabilmente il principio che la saturazione massima era individuale e non quella media, quindi la velocità della linea veniva tarata sui carichi di lavoro delle postazioni più saturate.

Un’altra contraddizione, che emerse in seguito, riguardava l’impossibilità materiale di applicare le saturazioni più elevate previste nell’accordo (87% e 88%); questo poiché in altre parti dell’accordo si stabiliva implicitamente, per un effetto concomitante derivante dalla pausa di 40 minuti e dai fattori di riposo applicati nelle linee di montaggio (minimamente il 5% – 6% dei tempi attivi), che la saturazione massima poteva essere solamente dell’86%, anche con cadenze superiori a 2 minuti.

Come si può osservare la fase applicativa rese evidente una certa approssimazione e anche impreparazione tecnica rispetto ai testi concordati, con importanti conseguenze sull’organizzazione lavorativa delle produzioni di serie. Nei fatti, la Fiat per anni aveva sostenuto il principio che le modalità di assegnazione dei tempi di lavoro non erano discutibili, perché frutto di una razionalità oggettiva: quando l’azienda fu costretta a contrattare questa materia emerse una certa incapacità tecnica ad affrontare il problema e la distanza tra le affermazioni di principio e la realtà concreta delle officine. In ogni caso le soluzioni che furono individuate rappresentarono una regolamentazione normativa sufficientemente coerente, anche perché erano costruite sulla base di una razionalità tecnica e non solamente sui rapporti di forza sindacali.

Un effetto diretto dell’accordo 5 agosto 1971 fu un incremento dell’occupazione nelle linee di montaggio, in conseguenza al maggior numero di lavoratori necessario per effettuare la produzione con le nuove norme su pause e saturazioni massime.

L’accordo del 1971 introduceva, di fatto, un aspetto del tutto nuovo nella complessa storia della Fiat: mentre, da un lato, operava una centralizzazione della contrattazione retributiva, ponendo definitivamente fine alla contrattazione delle varie indennità e paghe di posto o di mansione, che rimarranno congelate; dall’altro introduceva surrettiziamente la contrattazione a livello di reparto delle condizioni e dell’organizzazione del lavoro, determinando un’incisività sconosciuta nel passato per quanto riguarda un’area delicata delle scelte aziendali, quelle che attengono all’organizzazione del lavoro e alla possibilità di disporre della mano d’opera. Questo mutamento nelle condizioni di prescrizione e controllo della prestazione lavorativa sarà spesso definito “rigidità della forza-lavoro”. In realtà la prestazione di lavoro viene progressivamente sottoposta, con gli accordi del 1969 e del 1971, a delle regole precise, a fronte un totale arbitrio della fase precedente.

Nonostante questo evidente avanzamento sindacale, i giudizi furono tutt’altro che unanimi e positivi: da una parte alcuni gruppi extraparlamentari, come Lotta Continua, avevano ormai la prassi di definire come “accordi bidone” tutte le intese sindacali sottoscritte; dall’altra, non mancarono le accuse polemiche da parte dei militanti sindacali più radicali, soprattutto sui punti relativi ai diritti sindacali e alla struttura dei Comitati, per le evidenti implicazioni che queste strutture comportavano in termini di specializzazione e di diritto alla contrattazione. In generale era abbastanza diffusa la convinzione che la maggioranza del “Consiglione” di Mirafiori giudicasse negativamente l’intesa raggiunta; questo giudizio negativo non si trasformava in un’opposizione fattiva solamente per l’evidente debolezza nell’andamento degli scioperi.

La complessità dell’accordo richiese comunque una ulteriore intesa applicativa, stipulata l’anno successivo. L’accordo fu sottoscritto il , ma in realtà raccoglieva una serie di intese applicative su vari punti, concordate in date diverse nel corso dei primi mesi del 1972.

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