Commento all’accordo del 24 luglio 2002

In ogni modo la stessa alleanza con la General Motors sembra arrivata troppo tardi rispetto ai processi che hanno messo in crisi l’azienda che hanno radici molto lontane. La riduzione delle risorse a disposizione di Fiat Auto, combinata con problemi non risolti nel campo della qualità dell’organizzazione produttiva e della partecipazione dei lavoratori, ha generato una miscela esplosiva per la competitività aziendale.

Nei primi mesi del 2002 è intervenuto un gruppo di banche, in soccorso della Fiat, fornendo nuove risorse finanziarie per tre miliardi di euro, per un’operazione di ricapitalizzazione. L’accordo tra banche e Fiat, raggiunto il 28 maggio 2002, subordinava esplicitamente il rifinanziamento a un contenimento del debito netto, che doveva ridursi entro il 31 dicembre 2002 da 6,6 miliardi di debito a 3 miliardi di euro. Per ottenere questo risultato si indicava la necessità di un piano di dismissioni, che coinvolgeva in particolare le attività di consumer credit. Sul piano della riduzione dei costi l’azienda ha aperto, nel mese di maggio del 2002 alcune procedure di riduzione del personale che hanno riguardato oltre 3.400 dipendenti negli stabilimenti italiani di Fiat Auto e Powertrain. La proposta aziendale era di collocare in mobilità i lavoratori più anziani, che potevano accedere alla pensione; tuttavia questa prospettiva era percorribile solamente in presenza di un accordo sindacale. Il piano industriale presentato dall’azienda prevedeva un rinnovo della gamma del prodotto con un processo d’investimento che dovrebbe impegnare risorse per circa 2,4 miliardi di euro all’anno dal 2002 al 2004.

Un punto importante riguarda il rapporto con i sindacati, che non furono coinvolti in una trattativa sindacale preventiva sulla crisi e sui modi per risolverla; gli stessi organismi di partecipazione, istituiti con l’accordo del 18 marzo 1996, non sono stati attivati nei tempi e nelle modalità preventive che avrebbe richiesto la gravità della situazione. Ciò evidenzia il fallimento del modello partecipativo aziendale che, alla prova dei fatti, ha dimostrato la propria inconsistenza. Nei fatti, l’azienda ha avviato il confronto sul piano di ristrutturazione solamente nella primavera del 2002, in concomitanza con l’apertura della procedura di riduzione del personale, mentre la gravità della crisi era già evidente nel corso del 2001 ed era stata oggetto di più richieste di chiarimento da parte sindacale a cui l’azienda aveva sempre dato risposte che minimizzavano la criticità della situazione, evidentemente per escludere i sindacati da un confronto reale sui problemi aziendali. La stessa procedura di mobilità aperta nella primavera del 2002 è stata presentata come una mossa che avrebbe dato una spinta risolutiva rispetto alla crisi aziendale, salvo ripresentare un nuovo e più pesante piano di riduzione produttiva e occupazionale poco tempo dopo, nell’autunno del 2002.

La procedura, riguardante oltre 2800 lavoratori, si è conclusa con un accordo separato, sottoscritto da Fim, Uilm, Fismic, il 24 luglio 2002; un ulteriore accordo separato è stato sottoscritto per circa 500 lavoratori della Powertrain il 4 settembre 2002: in questi accordi è stato stabilito il licenziamento incentivato dei lavoratori più anziani, che hanno i requisiti per il collocamento in pensione nel corso del periodo di iscrizione nelle liste di mobilità.

La Fiom non firmò l’accordo con la motivazione che il piano industriale dell’azienda era poco credibile, in realtà, dubbi e perplessità sulla consistenza del piano presentato dall’azienda erano presenti  in tutte le organizzazioni sindacali, anche se poi hanno prevalso diverse valutazioni circa l’opportunità di sottoscrivere l’accordo.

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