Fiat – L’accordo del 26 giugno 1969

Commento di Cesare Cosi

Questo accordo, sottoscritto da FIM-FIOM-UILM-SIDA  segna il ritorno della contrattazione aziendale all’interno degli stabilimenti FIAT sul tema dei diritti sulla condizione di lavoro. È il primo tentativo di reinserire regole certe sui tempi di lavoro e sui criteri gestionali delle produzioni nelle varie officine.Come spiegherò, questo accordo, pur essendo un pilastro della contrattazione alla FIAT, non contiene, sotto l’aspetto delle regole che normano la prestazione di lavoro, nessuna conquista, non segna un miglioramento della condizione di lavoro. È di straordinaria importanza perché risancisce regole e diritti che dovevano essere operativi da 3 lustri e che invece erano largamente disattesi, e soprattutto perché rendeva edotti migliaia di lavoratori di detti diritti.

Art. 1 – Disposizioni di carattere generale

  1. Produzione impostata – La quantità di produzione prevista per ogni turno su ciascuna linea potrà essere effettuata quando siano effettivamente presenti gli operai occorrenti previsti nell’organico in ciascun tratto di linea e verrà perciò proporzionalmente ridotta in rapporto agli eventuali operai mancanti.

  2. Fermate tecniche – Le eventuali fermate tecniche o vuoti tecnici (ove esistano e siano predeterminati) per ogni linea, circuito o giostra, già attualmente retribuiti agli operai ed inseriti nei tempi di lavorazione, nella misura in cui attualmente sono considerati, non sono causa di perdita di produzione.

  3. Recuperi di produzione – Per eventuali recuperi di produzione persa per cause varie, (diverse da quelle di cui al precedente punto b), si dovrà effettuare una proporzionale variazione di organico.

Com’è rilevabile non si tratta di conquiste ma di regole che avrebbero dovuto essere operative a prescindere. Ovviamente il solo fatto che sia stato necessario ripuntualizzarle segnala che la FIAT non rispettava nessuno dei tre punti in questione, e la loro applicazione è diventata quindi una conquista.

 

  1. Variabilità della cadenza – La cadenza media per ciascuna linea nell’arco delle 8 ore di ogni turno è espressa in numero di unità per minuto primo secondo la seguente formula:

n. unità da produrre per turno

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480′ di lavoro – 10′ di fermata – X’ di fermate tecniche (punto b)

La cadenza massima per ciascuna linea non potrà superare di oltre il 18% il valore della corrispondente cadenza media.

Tale variabilità della cadenza è da imputarsi per un 13% a variazioni di velocità di lavoro dell’operaio nell’arco delle 8 ore (curva di rendimento biofisiologico del lavoro) e per un 5% a variazioni nella composizione della produzione.

Questo punto era una novità in assoluto nello scenario della contrattazione che traduceva in accordo, analisi, studi mirati sulla condizione di lavoro, intrecci di competenze tra medici del lavoro, psicologi e sindacalisti. Questo gruppo, operativo da anni a Torino, ha poi portato alla famosa dispensa sull’ambiente di lavoro che con la lettura delle condizioni di nocività in quattro gruppi di fattori nocivi ha formato generazioni di sindacalisti e di tecnici di varie discipline.

In sostanza si proponeva che le linee di montaggio partissero con una velocità di traslazione al disotto della media per la prima ora. Quando i lavoratori prendevano “il giusto ritmo” la velocità di traslazione veniva portata ai livelli massimi (+13%) per la seconda e la terza ora. Superata questa fase la velocità cominciava a decrescere per finire nelle ultime due ore nuovamente al disotto della media. Nell’accordo erano previste anche due dinamiche per gli addetti al primo od al secondo turno di lavoro.

L’ulteriore maggiorazione del +5% era legata alle varianti di tipi base di prodotti impostati sulle linee (più costosi o meno in termini di tempo d’esecuzione) che nell’alternanza si dovevano compensare.

Come purtroppo succede l’accordo era troppo avanzato per i tempi e per renderlo operativo si sarebbe dovuto intervenire su molti aspetti della vita di fabbrica.

Il primo impedimento era legato all’organizzazione della produzione a monte ed a valle delle linee di produzione. Per consentire una variazione della velocità delle linee, l’intera linea di prodotto o meglio l’intero stabilimento avrebbe dovuto seguire l’andamento delle linee altrimenti, essendo il processo produttivo fortemente linearizzato ed utilizzato sui massimali producibili, si sarebbero verificati eccessi di semilavorati in alcuni momenti e mancanza di pezzi in altri. Gli interventi sull’impiantistica (scorte intermedie, polmonature, ecc.) sarebbero stati in alcuni casi impossibili, in altri troppo costosi e di lunga realizzazione.

L’altro impedimento era l’indice di rendimento o meglio il livello di sfruttamento operante. Avevamo ottenuto la possibilità di limitare alcuni soprusi con i punti a-b-c, ma i carichi di lavoro erano sostanzialmente rimasti gli stessi, quindi lavorare anche solo per 4 ore ad un livello superiore al 133,33 di rendimento era molto difficile stante l’o.d.l. esistente e non accettato dai lavoratori.

La conseguenza di tutto questo è stata la non applicazione di questo punto dell’accordo anzi non è stato neppure mai sperimentato. 

L’unico punto di questo accordo che ha avuto una sua applicazione è stato il contenimento della maggiorazione della cadenza del +5% per i problemi relativi al mix produttivo. Vedremo dopo come l’azienda ha poi malamente utilizzato il +13% relativo alla curva biofisiologica del rendimento del lavoro. 

  1. Saturazione media individuale – Il totale delle operazioni effettivamente assegnati ad ogni operaio – espresso in tempi al netto delle maggiorazioni per fermate tecniche predeterminate e per fattore fisiologico – non sarà superiore al 105% del tempo corrispondente alla cadenza media della linea e l’indice di saturazione nell’arco nell’arco delle 8 ore non sarà superiore al 91% (8 ore meno 10′ di fermata meno 4% fattore fisiologico meno 3% fattore di riposo minimo).

Anche questo punto, che segna l’avvio della possibilità di controllare i carichi di lavoro sulle linee, concettualmente non è una conquista perché erano tutte cose previste nel modello di determinazione dei carichi di lavoro, dovute da tempo e mai applicate.

Per i lavoratori la conquista principale è stata l’effettivo godimento del 4% di cambio per fruire del fattore fisiologico. Per l’azienda e la gerarchia è stata una rivoluzione per due aspetti. 

Il primo è la lievitazione dei posizionati sulle linee perché precedentemente l’occasionale cambio di pochi minuti era dato dagli operatori. Diventando di 20′ si era dovuto inventare la figura del rimpiazzo polivalente (1 ogni 25 lavoratori – capace di lavorare su più stazioni di lavoro a rendimento 133,33).

Il secondo era relativo ad un aspetto logistico-disciplinare. Dove andavano decine di lavoratori che avevano (cosa inusitata) 20′ di tempo libero a disposizione? Da non dimenticare che a quel tempo vigeva ancora la regola che l’unica possibilità di movimento che aveva un lavoratore era il percorso per l’ingresso in officina, la zona di bollatura della cartolina, lo spogliatoio, il refettorio ed il gabinetto; il resto del tempo doveva passarlo all’interno delle strisce bianche che delimitavano la propria squadra di lavoro e se, per motivi unicamente di lavoro, doveva allontanarsi, non poteva farlo senza un permesso scritto dal capo altrimenti, qualora fosse riuscito ad eludere la sorveglianza diretta ed allontanarsi, poteva essere fermato dai sorveglianti e multato. Durante le ore di lavoro era altresì interdetto l’accesso ai refettori ed agli spogliatoi senza permesso scritto e non esisteva nessuna zona di distribuzione di acqua, caffè o bevande.

La prima soluzione è stata il sedersi sui gradini di accesso ai gabinetti, poi il sedersi sulle scale principali di accesso ai refettori, in ultimo girovagare per il reparto anche per vedere come era fatto il mondo.

Dopo innumerevoli proteste, contestazioni, scioperi e cortei, questi due aspetti troveranno poi soluzione con l’ampliamento dei rimpiazzi e la costruzione delle “cabine di relax”  dopo l’accordo 1971.

Il punto D fece però scoprire ai primi delegati di linea ed ai lavoratori l’esistenza di una articolazione dei tempi di lavoro, composti da un tempo attivo, un fattore fisiologico ed una maggiorazione di riposo per gli effetti stancanti. Come il tutto fosse articolato rimaneva un mistero che pochi sapevano spiegarci in modo esaustivo, e come controllare la propria saturazione e quella dei singoli lavoratori era un percorso lungo che però era iniziato.

Art.2 – Comunicazione dei tempi

La comunicazione riguardanti lavorazioni su tratti di linee di montaggio meccanizzate comprenderanno i seguenti elementi su tabellone per ogni squadra:

  • numero complessivo di unità da produrre in ciascun turno:
  • tempo complessivo di fermate tecniche considerate nei tempi di lavorazione o numero di vuoti tecnici retribuiti;
  • cadenza media del turno;
  • cadenza massima;
  • numero di operai occorrenti sulla linea per ogni turno per la produzione complessiva giornaliera;
  • numero di operai assegnati come rimpiazzi saltuari per utilizzazione della percentuale concessa per fattore fisiologico (4% del tempo complessivo al netto dei 10′ di fermata);
  • percentuale di assenti prevista per assenze per malattia, infortunio, permesso, ecc. e corrispondente numero di operai assegnati a disposizione per il completamento del numero occorrente di operai sulla linea;
  • tempo complessivo massimo – espresso in valore normale – delle operazioni od elementi di operazione assegnati all’operaio per ogni unità prodotta;
  • numero totale delle unità da produrre nel periodo considerato suddivisi per specialità;
  • numero totale degli allestimenti da produrre nel periodo considerato suddivise per specialità.

 

L’articolo 2 istituisce il famoso – tabellone di linea –  che, esposto in ogni squadra, elencava tutti gli elementi richiamati nei punti precedenti diventando il primo diritto collettivo di informazione conquistato negli stabilimenti FIAT.

Art. 2 – Controllo dei tempi

I tempi di lavorazione sono comunicati agli operai interessati con il seguente sistema:

  • affissione dei singoli tempi – a valore normale ed a valore effettivo – di tutte le operazioni da eseguirsi sul tratto di linea considerato;
  • comunicazione verbale da parte del superiore diretto ad ogni singolo operaio delle operazioni da eseguire con conferma scritta a richiesta dell’interessato.

Per il controllo dei tempi d’esecuzione si mantiene l’impostazione del 1955 chiarendo che detti tempi siano chiaramente espressi in valore normale (a 100 di rendimento) ed effettivi (a 133,33).

Per quanto riguarda la comunicazione dei tempi viene eliminato il rito della firma del cartellino per presa visione dell’operazione e del tempo con la conseguente prassi (possibilità di contestazione, ecc.) e sostituita con la comunicazione verbale ed eventuale conferma scritta che in termini corretti significa che il capo era costretto a comunicare per iscritto ciclo e tempi d’esecuzione.

Purtroppo, anche in questo caso, non viene esplicitata la possibilità di richiedere il tempo parcellizzato e scomposto in tutti i suoi elementi costitutivi.

Art. 3 – Rilievo delle quantità prodotte

Sulle linee principali verranno installati appositi contatori per il conteggio progressivo delle unità prodotte: i contatori saranno azzerati a fine di ciascun turno.

Questo articolo sancisce la conquista dei contapezzi a lato delle linee principali; conquista che ovviamente non si è limitata alle linee principali ma è stata richiesta su tutti gli impianti dove il controllo dei volumi era problematico.

Art. 4 – Controllo sulla applicazione della regolamentazione

Viene istituito un Comitato Linea a carattere permanente composta da un membro di C.I. per ciascuna delle Organizzazioni sindacali o gruppi rappresentati nella C.I. stessa che ha ottenuto almeno il 5% dei voti.

A tale Comitato vengono fornite le seguenti informazioni e comunicazioni:

  1. copia dei tabelloni di ogni singola squadra previsti all’Art. 2) lettera a) ad ogni variazione dei programmi di produzione;

  2. comunicazione preventiva, con un minimo di 24 ore, delle variazioni dei programmi e conseguentemente del numero degli operai occorrenti per realizzarli, con eventuale esame dei fabbisogni di mano d’opera;

  3. tutti i chiarimenti  – a richiesta – attinenti a produzioni eseguite o previste, organici, situazione assenti e numero di operai presenti ed ore di lavoro complessive per le lavorazioni di linea.

Il Comitato linee ha facoltà di richiedere sia controlli sul livello di saturazione di singoli operai sia informazioni sulla composizione dei tempi di lavoro.

Il Comitato linea ha la facoltà di effettuare giornalmente verifiche circa la rispondenza tra la presente regolamentazione, le comunicazioni ricevute ed esposte, e le situazioni di fatto.

I contatti del Comitato linee per i controlli sull’applicazione della regolamentazione saranno tenuti con il Capo del Servizio Personale e con il Capo del Servizio Mano d’Opera di ogni singola sezione o con loro appositi incaricati.

Art. 5 – Controversie

Nel caso di controversie individuali o plurime relative alla presente regolamentazione la C.I. ha la facoltà di avvalersi di esperti (uno per ogni Organizzazione sindacale o Gruppo presenti nella C.I.) da essa di volta in volta prescelti in un apposito elenco – preventivamente comunicato alla Direzione – contenente nominativi di lavoratori occupati nelle lavorazioni oggetto delle predette norme.

L’elenco degli esperti è formato da un lavoratore per ciascuna delle Organizzazioni sindacali rappresentate nella C.I. che hanno ottenuto almeno il 5% dei voti ogni 1000 operai interessati alla presente regolamentazione: esso ha carattere permanente ed è valido per la durata in carica della C.I. salvo sostituzioni di esperti determinata da dimissioni, morte o qualsiasi causa sopravvenuta ed obiettiva che impedisca lo svolgimento normale dei loro compiti.

La Direzione concederà agli esperti prescelti per ciascuna vertenza i permessi retribuiti necessari per lo svolgimento del loro compito.

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Dopo la designazione del Comitato Linee – solo per la Sezione Automobili – Mirafiori e fino a quando l’attuale unità aziendale non venga diversamente strutturata ai fini della costituzione delle C.I. – la composizione della C.I. attuale viene aumentata da 18 a 22 componenti con il riconoscimento della funzione di membro di C.I. al primo candidato non eletto nelle ultime elezioni in ciascuna delle liste che partecipano al Comitato linee.

Gli articoli 4 e 5 tentano di porre rimedio a molti arbitri padronali subiti negli ultimi 15 anni sancendo i diritti d’informazione collettivi gestiti dal nuovo organismo – Comitato Linee – che viene istituito in modo permanente come articolazione delle C.I. e ripartito equamente tra le organizzazioni sindacali presenti. Per la sola sezione Auto di Mirafiori questo nuovo istituto aveva fatto lievitare i componenti delle C.I. da 18 a 22 componenti

Detto Comitato aveva il diritto di effettuare sopralluoghi e verifiche giornaliere in officina e negli uffici analisi lavoro e contrattare con il Servizio personale e l’Analisi Lavoro che in quegli anni faceva parte del Servizio Mano d’opera (prima, i membri di C.I. non avevano libero accesso alle officine di produzione, e per contattare un proprio rappresentante bisognava farne richiesta ed andare personalmente nella sede, ad esempio a Mirafiori, posta nei sotterranei della palazzina uffici centrale). Da non dimenticare che a Mirafiori per andare ad esempio dalla Meccanica alla palazzina uffici centrale bisognava prendere il pulmino interno.

L’aspetto più rivoluzionario di tutto l’accordo è stata la creazione del gruppo degli Esperti in affiancamento al Comitato Linee. Questi esperti, dotati di 8 ore di permesso retribuito mensile, erano i primi delegati di squadra eletti su scheda bianca (200 circa – a Mirafiori erano 56)  embrione del futuro Consiglio di Fabbrica costituito da rappresentanti diretti dei lavoratori sempre eletti su scheda bianca, quindi di non diretta emanazione delle Organizzazioni Sindacali (i).

La gestione sindacale dell’accordo 1969

Descrivere, anche per sommi capi, la concreta gestione dell’accordo dal giugno 1969 al 26 marzo 1971, data di presentazione delle richieste per il nuovo accordo, è estremamente difficile senza collocarla nel contesto storico del periodo, nel confronto sindacale nella CGIL, nella FIOM, ed a livello unitario, nella Torino d’allora, negli stabilimenti FIAT di quel periodo, ed a Mirafiori in particolare.

Compito ovviamente troppo vasto e complesso per essere inserito in un manuale, mi limiterò quindi ad alcune rapide considerazioni,  ad integrazione di quanto già scritto analizzando i vari punti dell’accordo, sul divenire del controllo e della contestazione dei carichi di lavoro e dell’organizzazione del lavoro .

Il principale problema esistente erano i capi e la gerarchia in generale. Queste figure erano un vero esercito, basti valutare che su di un reparto di 350-400 operai diretti, la struttura era cosi composta:

  • Il capo reparto 
  • Un capo squadra ogni 25-35 lavoratori
  • Uno o due operatori per ogni squadra

questa struttura si moltiplicava per ogni turno di lavoro, a cui bisognava aggiungere uno o due vice capi officina; quindi ogni 13-14 addetti alla produzione c’era qualcuno che comandava, sovrintendeva, supervisionava, ecc.. Se poi il rapporto lo si fosse esteso a tutto lo stabilimento comprendendo anche l’esercito dei sorveglianti e gli indiretti – collegati ai vari livelli, il rapporto si assottigliava ancora.

Si potrebbe osservare che questa struttura di comando, anche se gonfiata, rispondesse alle esigenze di gestione fordista di un grande stabilimento, ma il problema principale erano le caratteristiche della selezione umana e politica che ne stava alla base.

Per far parte di queste figure bisognava essere “fedeli”, dove per fedeltà si intendeva l’adesione incondizionata ai bisogni ed alle scelte della FIAT elaborate nel corso degli anni ’50 che aveva al centro il controllo ideologico dei sottoposti e lo sfruttamento. Senza questo esercito fedele gli anni duri non avrebbero potuto durare ed essere ancora presenti.

Il tornaconto era la progressione nella carriera, da crumiro ad operatore, da operatore a capo squadra, ecc. La struttura di comando di tutti gli stabilimenti era frutto di queste scelte e di questo divenire, basti pensare che ancora dopo l”80 alla Meccanica di Mirafiori su una trentina di dirigenti la quasi totalità era priva di laurea o di diploma di media superiore, ed i due o tre titolati non erano nei posti chiave. Può sembrare paradossale ma l’officina era la matrice di buona parte della struttura sia a livello di line che di staff.

Questa struttura, tipicamente vallettiana, consolidatasi negli ultimi 15 anni, era assolutamente impreparata a modificare il proprio comportamento ed a gestire i tempi nuovi che l’autunno caldo annunciava, sentiva poi che la posta in gioco era il loro potere concreto, fatto di violenta prevaricazione, non rispetto delle regole che gli consentiva di coprire anche errori, cattiva gestione, clientelismi, ruberie, ecc.

Il divario tra fabbrica e società era per la Fiat il principale problema. Il mondo era in corsa e dentro i cancelli si viveva come negli anni ’50

Moltissimi di loro pensavano poi che quello che stava succedendo fosse una fiammata passeggera e che l’importante era resistere ed impedire che il sindacato ed i delegati prendessero potere. Quindi gli accordi venivano o non riconosciuti o interpretati, si cavillava su tutto, il clima da caserma permaneva, ed ogni spazio di maggiore dignità e libertà per le persone doveva essere conquistato quotidianamente con la lotta, che ovviamente si faceva sempre più dura con scioperi articolati e cortei interni.

Anche la gerarchia tecnica (Analisi lavoro, Ufficio sicurezza, ecc.) erano o consenzienti o costretti a questi comportamenti dallo strapotere della gerarchia d’officina; non migliore sorte toccava al Servizio personale, che a quel tempo non conosceva lo stabilimento in concreto, non aveva un potere reale nei confronti della fabbricazione,  ed era sottodimensionato rispetto ai nuovi compiti che doveva svolgere.

Ovviamente i punti principali dell’accordo venivano fatti rispettare (controllo dei volumi, non recuperi, ecc.) ma rimanevano irrisolti i due problemi chiave, i carichi di lavoro ed i livelli di saturazione (art. 1-e / Art. 2) . Gli strumenti contrattuali per intervenire su questi temi non erano completi, il comitato linee e le C.I. non erano un organismo numericamente sufficiente per un compito di questa portata e stava gradualmente costruendosi le competenze necessarie. 

Oltre a questo, l’insieme delle problematiche e dei bisogni si ampliavano (ambiente e sicurezza, qualificazione, mensa, delegati, ecc.) e sui carichi di lavoro le contestazioni si allargavano a tutti i settori produttivi ed a tutti gli stabilimenti del gruppo.

È in questo clima di lotta, dibattito e di elaborazione collettiva che vengono buttate le basi per la definizione delle richieste dell’accordo 5/8/1971.

ISMEL – Istituto per la Memoria e la Cultura del Lavoro dell’Impresa e dei Diritti Sociali – www.ismel.it è attuale gestore del sito Mirafiori accordi e lotte
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