Una conferenza stampa alla Camera del lavoro di Torino per illustrare all’opinione pubblica i gravi soprusi della Fiat

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I fatti che di seguito vengono esposti sono stati illustrati, i giorni 1 e 2 ottobre, all’on. sen. Cesare Merzagora, presidente del Senato, all’on. Giuseppe Gronchi, presidente della Camera dei deputati, all’on. Dino Del Bo, sottosegretario al Lavoro, da una delegazione di operai licenziati dalla Fiat per motivi politici e sindacali.

Dall’ottobre del 1948 alla fine del mese di settembre 1953, 197 lavoratori metalmeccanici — di cui 164 della sola Fiat — sono stati licenziati per aver esercitato il diritto di sciopero o aver svolto attività politica e sindacale. Di questi, 30 erano membri di Commissione interna, e, come tali, particolarmente tutelati dagli accordi interconfederali nell’esercizio dei loro compiti di rappresentanza e di tutela dei lavoratori. Vi sono state, per i medesimi motivi, 300 sospensioni individuali, fra cui quelle di 40 membri di Commissione interna; i lavoratori di interi reparti, o addirittura di interi stabilimenti, sono stati sospesi dal lavoro, con conseguente perdita del salario e di tutte le altre voci della retribuzione, per la durata di un giorno e sino a cinque giorni; particolarmente negli stabilimenti Fiat, migliaia di operai sono stati trasferiti per punizione da una sezione all’altra, con conseguente perdita, il più delle volte, della qualifica e delle indennità precedentemente percepite; tra questi, numerosi sorveglianti i quali sono stati trasferiti ai reparti di produzione, con cospicua perdita salariale, per non essersi prestati ad attività illecite, che la Fiat pretende dai membri del « corpo sorveglianti ». In questi anni, le multe inflitte ai lavoratori per « punizione » in seguito ad azione sindacale ammontano a parecchi milioni di lire, mentre a decine di migliaia si contano le ammonizioni scritte e orali — le quali costituiscono, il più delle volte, un grave « precedente per il licenziamento » — inflitte particolarmente ai membri di Commissione interna e agli attivisti sindacali; così pure si contano a centinaia di migliaia le lettere di ammonizione inviate nominativamente o collettivamente dalla direzione Fiat ai lavoratori; e a queste bisogna aggiungere le lettere intimidatorie inviate direttamente alle famiglie di gran parte dei 60 mila dipendenti della Fiat a seguito di uno sciopero.

Titolo di reato è, per la Fiat, il prendere la parola durante le assemblee di maestranze: oltre al disposto costituzionale sulla libertà di stampa, di riunione e di propaganda, l’accordo interconfederale sulle Commissioni interne, all’art. 11, sancisce invece, il « diritto dei lavoratori a riunirsi — previo accordo tra direzione e Commissione interna sull’ora e sul luogo della riunione — per dec 8, 2013 – now fluoxetine is one of ssri december 8, 2013 ; admin; comments off; generic pils,woman’s health. discutere i loro problemi ». La direzione Fiat, infatti, mentre si riserva la facoltà����������������������������di concedere o meno l’autorizzazione alle riunioni (e questa ��, di fatto, una prima violazione dell’accordo, il quale non parla di autorizzazione) impedisce che i lavoratori prendano la parola durante l’assemblea e limita gravemente la libertà di parola degli stessi membri di Commissione interna, ai quali solamente viene concesso di parlare. In molti casi, le direzioni aziendali pretendono di conoscere preventivamente e di censurare il testo delle relazioni che le Commissioni interne chiedono di tenere ai lavoratori. Inoltre, negli stabilimenti Fiat le relazioni delle Commissioni interne alle maestranze sono stenografate da impiegate inviate dalla direzione e le frasi riportate nello stenogramma vengono usate come « capi di imputazione ». Le assemblee dei lavoratori — anche quelle « autorizzate » ��� vengono riprese cinematograficamente, sempre allo scopo di individuare i lavoratori più attivi e combattivi e di poter loro addebitare frasi o atteggiamenti che la direzione non gradisce e che pertanto costituiscono il pretesto per sanzioni disciplinari o per il licenziamento.

Anche l’attività sindacale o politica dei (lavoratori fuori dello stabilimento o fuori dell’orario di lavoro, cioè oct 26, 2012 – baclofen pump uk >> where’s best place to · looking for cheap enter here to buy generic baclofen online!! ::. quando il lavoratore è sottratto al rapporto di lavoro, rappresenta per la direzione Fiat motivo di rappresaglia e di licenziamento: due operai della Fiat Grandi Motori — Cavallero e Cencetti —sono stati licenziati per aver consegnato, all’interno dello stabilimento ma al termine dell’orario di lavoro, ad altri operai, dei blocchetti di sottoscrizione al giornale « l’Unità »; l’impiegato Rocco, membro di Commissione interna delle Fonderie Fiat, è stato licenziato per aver scritto un articolo, pubblicato sul quotidiano « l’Unità » e contenente apprezzamenti di ordine politico, sindacale ed economico, non graditi alla direzione Fiat; un membro della Commissione interna dello stabilimento Fiat Mirafiori, Cesare Vignale, è stato aver consegnato ad un operaio, dentro lo stabilimento ma fuori dell’orario di lavoro, un biglietto di convocazione per una riunione da effettuarsi fuori dell’azienda molti operai sono stati licenziati per il solo fatto di essere stati trovati in possesso, all’interno dello stabilimento, di copie di alcuni giornali: tra questi, ad esempio, l’operaio Brustolon della Fiat Mirafiori, e l’operaio Fran­chini della Fiat Ferriere. L’ultimo, e più grave caso del genere si è verificato allo stabilimento Fiat Ausiliarie, il giorno 2 ottobre 1953, quando l’operaio Armando Aires è stato licenziato con la seguente motivazione: « … perché trovato in possesso di stampa per il cui ingresso non è stata chiesta né ottenuta autorizzazione». Alla base di questo provvedimento, che è in pieno contrasto e con la Costituzione e con la vigente legge sulla stampa — la quale attribuisce esclusivamente ai tribunali della Repubblica la competenza di autorizzazione alla pubblicazione, ma non ammette n���� prevede in alcun modo la censura preventiva dei periodici — stanno i seguenti fatti: il giorno 29 settembre 1953 la direzione dello stabilimento convocava la Commissione interna per comunicare che si erano rotti alcuni ingranaggi di una macchina prodotta dallo stabilimento e venduta ad un’azienda di Firenze; senza . provare le sue affermazioni — palesemente assurde ��� la direzione dichiarava che il guasto era dovuto ad atto di sabotaggio ed annunziava che avrebbe condotto delle indagini. Difatti, all’indomani, venivano effettuate perquisizioni (non sono, queste perquisizioni palesi violazioni di quegli articoli del codice che garantiscono la libertà personale?) nei cassetti dei banchi degli operai e, contemporaneamente, all’entrata dello stabilimento venivano perquisite le borse porta-vivande dei lavoratori (anche questo in contrasto con le vigenti leggi e con il contratto di categoria dei metallurgici che prevede la visita alle borse solo all’uscita degli stabilimenti). Durante tali perquisizioni venivano ritrovate nel cassetto dell’Aires tre copie arretrate del giornale di fabbrica « La lotta ». L’operaio veniva immediatamente chiamato in direzione e interrogato; nonostante la sua esplicita richiesta, gli veniva negata la possibilità — garantitagli dal contratto di categoria — di farsi assistere dalla Commissione interna e, successivamente, egli era licenziato in tronco con la suddetta motivazione.

Sempre a proposito della violazione della libertà di parola e di stampa, alcuni membri di Commissione interna Fiat sono stati «ammoniti» per il contenuto di una relazione alle maestranze non gradita alla direzione. Uno dei casi più clamorosi di violazione delle libertà del cittadino è quello avvenuto il primo gennaio 1952 alla Fiat, quando fu licenziato il direttore dei Servizi sociali della Fiat, Battista Santhià, non per aver compiuto una determinata azione, ma per il semplice motivo di essere iscritto ad un determinato partito politico, l’appartenenza al quale, affermava la lettera di licenziamento, «non era compatibile con la carica di direttore». L’operaio Tinazzo, delle Ferriere Fiat, è stato licenziato solo perché si era recato in direzione ad esprimere la protesta degli operai del suo reparto per la nomina di un capo squadra epurato da un altro stabilimento per i suoi trascorsi fascisti e repubblichini. Il 30 maggio 1953, un sorvegliante ha minacciato a mano armata dei lavoratori che, davanti all’ingresso dello stabilimento Fiat, distribuivano manifestini di propaganda elettorale. L’operaio Cantone, della Fiat Mirafiori, è stato licenziato per essere entrato nel reparto alcuni minuti prima dell’ora d’inizio del lavoro per distribuire i bollini delle quote mensili del sindacato. A seguito degli scioperi del 19 maggio e del 30 marzo 1953 contro la legge elettorale, migliaia di lavoratori sono stati puniti. Alla Fiat sono stati licenziati 22 fra operai ed impiegati, tra i quali 9 membri di Commissione interna, mentre alcune migliaia di lavoratori sono stati multati, sospesi o ammoniti. Altri provvedimenti disciplinari sono stati adottati nelle altre aziende di Torino. Gli industriali hanno preso tali provvedimenti adducendo la tesi che trattavasi di scioperi «politici» e, quindi, secondo loro «illeciti», quando è risaputo che nessuna limitazione è opposta dalla Costituzione all’esercizio del diritto di sciopero, né è fatta alcuna distinzione sul carattere degli scioperi, e quando, in ogni caso, non esiste ancora una legge, votata dal Parlamento, che introduca il concetto di sciopero economico e di sciopero politico. Ma, in realtà, quello dello sciopero « politico » non è altro che un pretesto, e gli industriali, soprattutto quelli della Fiat, sono puramente e semplicemente contro lo sciopero come tale e più volte hanno violato questo diritto costituzionale: così, ad esempio gli operai del reparto 8 della Fiat Materferro sono stati tutti « ammoniti » per aver scioperato contro il taglio delle tariffe di cottimo, e gli operai della off. 5 di Mirafiori sono stati multati per aver scioperato in segno di protesta contro un analogo arbitrio della direzione.

Sempre a proposito delle violazioni della libertà di sciopero, l’azione intimidatoria, alla vigilia di ogni azione sindacale, è diventata ormai una norma alla Fiat. I capi-squadra e i capi-servizi sono costretti dalle direzioni aziendali ad avvicinare gli operai e gli impiegati per « consigliare » loro di non partecipare allo sciopero, in quanto l’eventuale partecipazione al medesimo sarebbe seguita da sanzione. Ma anche più vasta è l’azione intimidatoria contro il libero esercizio del diritto di sciopero. Si minacciano riduzioni di orario, si avverte che la partecipazione all’agitazione costituisce un « precedente » per il licenziamento, si arriva fino alla minaccia diretta vera e propria, fatta al singolo operaio, di licenziamento. Per quanto riguarda gli impiegati, si sono avuti casi in cui la direzione Fiat, sempre a scopo intimidatorio, nel corso di qualche sciopero, ha inviato dei suoi agenti alle abitazioni degli impiegati, per accertare i motivi dell’assenza dal lavoro. Nello sciopero generale del 24 settembre, indetto dalla Cgil, dalla Cisl e dalla Uil, la direzione della Fiat Ferriere è arrivata al punto di costringere alcuni impiegati a telefonare a casa dei loro colleghi per « invitarli » a presentarsi al lavoro, con la motivazione « che solo una minoranza aveva aderito allo sciopero ». Alla Fiat Ricambi, nella stessa occasione, la direzione ha minacciato gli impiegati, e la Commissione interna, intervenuta per protestare, si è sentita rispondere che si trattava di precisa disposizione della direzione generale Fiat. Contro le ripetute violazioni del diritto di sciopero, tutte le organizzazioni sindacali hanno ripetutamente protestato. Riportiamo ad esempio uno stralcio dell’ordine del giorno votato il giorno 29 settembre 1953 dai membri di Commissione interna aderenti alla Cisl: « … elevano la loro più energica protesta per la palese intimidazione effettuata dalla direzione Fiat in occasione del recente sciopero generale proclamato da tutte le organizzazioni sindacali ».

Violazioni dei contratti collettivi

Negli esempi precedenti si è parlato soprattutto di violazioni della Costituzione e delle leggi della Repubblica; ma assai più frequenti, anche se meno clamorosi, sono gli esempi di violazione di accordi e contratti bilaterali liberamente conclusi stipulati da industriali e le loro organizzazioni, da una parte, e i lavoratori e i loro sindacati dall’altra, sia in sede aziendale che territoriale e di categoria. Queste violazioni contrattuali, per essere comprese nel loro vero significato e nella loro portata, devono essere necessariamente inquadrate nel panorama più vasto di attacco alle libertà ed ai diritti democratici dei lavoratori che abbiamo cercato sopra di delineare e che sarà ulteriormente precisato in alcuni suoi aspetti particolari. La presenza di sorveglianti nei reparti potrebbe, infatti, non avere di per sé alcuna rilevanza ma, se si tiene conto e del numero di costoro (alla Fiat uno ogni 60 operai circa), e delle minacce, delle rappresaglie, ecc., di cui abbiamo fatto cenno, risulta evidente che la presenza degli agenti del corpo di sorveglianza nelle officine e nei reparti, gli eccessi (che a volte rasentano addirittura il ridicolo) in quest’opera continua di vigilanza esercitata, acquistano ben altra importanza e contribuiscono notevolmente a rendere ancora più pesante e soffocante la illiberale atmosfera che regna negli stabilimenti, soprattutto quelli del gruppo Fiat. Ecco alcuni esempi scelti tra i pi�� rimarchevoli: nell’interno degli stabilimenti Fiat (come è stato riconosciuto dall’azienda) girano degli speciali sorveglianti in tuta, cioè « mimetizzati ». Questo rappresenta una palese violazione del contratto di lavoro, che nell’articolo sulla disciplina aziendale « dispone » che l’azienda avrà cura di mettere gli operai in condizioni di evitare possibili equivoci circa le persone alle quali ciascun operaio è tenuto a rivolgersi, e crea ovviamente un clima di paura e di sospetto. I sorveglianti in divisa (o in tuta) girano continuamente nei reparti di lavorazione ed interrogano, anche all’insaputa dei capi-squadra e dei capi-reparto, gli operai. Questo perché, secondo la Fiat, molti tecnici « non sono ancora capaci di far rispettare la disciplina ». Questi fatti, oltre a determinare una situazione di disagio tra i lavoratori, dato anche che i sorveglianti, non essendo al corrente dello svolgimento delle lavorazioni, possono fare ai lavoratori dei richiami molto spesso inopportuni e odiosi, rappresentano anche una menomazione ed un’umiliazione per i tecnici non certo a vantaggio della produzione. La vigilanza dei sorveglianti viene effettuata spesso anche nei gabinetti e negli spogliatoi, ed in alcuni stabilimenti Fiat sono stati effettuati veri e propri scassinamenti dei cassetti dove gli operai depongono gli strumenti di lavoro di propriet�� personale, oppure consegnati dall’azienda sotto la loro responsabilità.

Per dare un altro esempio: tre operai della Fiat Grandi Motori — Cariola, Mautone, Ungaro — sono stati licenziati in tronco per essersi opposti alla perquisizione all’ingresso dello stabilimento: come si è già detto, il contratto nazionale di lavoro dei metalmeccanici — art. 4 parte comune — non prevede in alcun modo le visite di controllo all’entrata, ma solo all’uscita; la Fiat ha invece imposto unilateralmente ed effettua ormai di consuetudine la perquisizione obbligatoria anche all’entrata.

Due fatti danno un’idea precisa della anormalità, dal punto di vista costituzionale del diritto positivo e dei contratti sindacali, esistente nel complesso Fiat. Primo di questi è la creazione di un vero e proprio confino di polizia mediante il trasferimento in una piccola fabbrica del complesso, all’uopo attrezzata, di tutti coloro che, per essere ex membri di Commissione interna o candidati alle elezioni, o per essere comunque attivi dirigenti sindacali, sono particolarmente invisi alle singole direzioni aziendali. Nel gennaio 1953, la Fiat ha creato lo stabilimento Officina Sussidiaria Ricambi che serve appunto da prednisone generic name trade name prednisone generic name trade name campo di concentramento; la prova del criterio di discriminazione politica e sindacale con cui si è dato vita al nuovo stabilimento, viene dalle elezioni per la Commissione interna di questa nuova speciale sezione, avvenute per la prima volta il giorno 17 marzo 1953: tutti i voti, sia degli impiegati che degli operai, sono andati alla lista presentata dalla Fiom-Cgil che, d’altronde, era anche l’unica in lizza, per l’assoluta mancanza di lavoratori di altre correnti sindacali. Il secondo, e ancora più grave aspetto, è quello della istituzione di speciali commissioni di inchiesta che agiscono con metodi e procedura tali da essere contemporaneamente sezione istruttoria e collegio giudicante di un vero e proprio tribunale di fabbrica. Questi organismi, formati dai dirigenti massimi dei singoli stabilimenti e dall’ispettore del Corpo sorveglianti, sono entrati in funzione nei mesi di settembre e ottobre 1953 alla Fiat Lingotto, alla Fiat Mirafiori, alla Fiat Ricambi, alla Fiat Sima e alla Fiat Grandi Motori. Essi sottopongono gli operai ��� chiamati ad uno ad uno in mezzo ad un imponente schieramento di sorveglianti e di inquisitori in un’aula appartata — a veri e propri interrogatori (circa i motivi per cui gli « imputati » hanno partecipato agli scioperi, circa la identità di chi ha promosso o ha fatto propaganda per lo sciopero), con accompagnamento di minacce di provvedimenti disciplinari per chi si rifiuti di rispondere e, infine, con l’emanazione di un vero e proprio verdetto che, spesso, è il licenziamento in tronco. Per meglio chiarire la cosa e dimostrare la gravità di questi fatti e di questi atti, per provarne la palese illiceità, non si hanno che da ricordare alcuni degli esempi, ultimi in ordine di tempo, che hanno portato al licenziamento di 16 lavoratori della Fiat. In un giorno della prima decade di settembre, alla Spa, l’operaio Novarese, il quale, preso il Novarese in gruppo con altri cinque operai, li conduceva alla palazzina della direzione. Due sorveglianti in divisa prendevano in consegna il gruppo e lo introducevano in una anticamera donde, a turno, erano introdotti nell’« aula » del « tribunale privato ». Allorché venne la volta del Novarese, nell’« aula » sedevano i «giudici»: Pittaluga (capo ufficio manodopera), Pi­stamiglio (capo personale), La Penta (della segreteria direzionale) e Rimini (capo servizio sorveglianza). L’interrogatorio ha inizio: lo conduce il Pittaluga che �� presiede ». Il Pittaluga sente il bisogno di premettere che quanto sta avvenendo �� fatto in « difesa degli operai », per assicurare ad essi « libert�� di sciopero e di lavoro »: tutti i presenti in genere si sforzano di creare una atmosfera « familiare ». Il Pittaluga s’informa, quindi, se l’operaio Novarese ha subito prepotenze durante lo sciopero. L’operaio risponde di aver fatto sciopero perché lo riteneva giusto, diversamente si sarebbe astenuto senza temere prepotenze. L’affermazione è messa a verbale. Il « presidente » Pittaluga chiede allora se, a sua volta, « l’imputato » abbia esercitato violenza verso terzi, al che il Novarese risponde di non essersi neppure mosso dal suo posto di lavoro, circostanza che lo stesso capo reparto può confermare. Gli si domanda ancora se ha preso parte alla manifestazione delle maestranze, davanti alla palazzina della direzione. Il Novarese risponde di essersi recato insieme a tutti gli altri, per sentire la risposta che la direzione avrebbe dato alla Commissione interna. Dopo breve confabulare, il Pittaluga comunica al Novarese che gravi provvedimenti saranno presi a carico dei « responsabili ». Pochi giorni dopo, senza preavviso, l’operaio ha ricevuto la lettera di licenziamento. Una impiegata (facilmente rintracciabile), presente « all’udienza » ha stenografato tutto l’interrogatorio. Con ogni probabilit�� il Novarese era stato individuato a caso fra la folla delle maestranze, per mezzo di un film che la direzione della Fiat aveva fatto « girare » durante la manifestazione.

Il giorno 1 settembre, l’operaio Pastore Ciro riceveva un permesso con l’invito di recarsi da certo Rapetti, capo dei sorveglianti dello stabilimento Fiat Mirafiori. Durante il percorso i sorveglianti, preavvisati, indicavano a Pastore l’«aula» del tribunale. In essa sedevano il sunnominato Rapetti, un altro dirigente non identificato e la solita stenografa verbalizzante. Fuori la porta vigilavano due guardie private della Fiat. Ecco un estratto del verbale di interrogatorio.

order estrace online where can i buy estrace cream cheap order estrace online buy estrace no prescription estrace sale Presidente — Ci risulta che lei abbia partecipato all’organizzazione dello sciopero (quello del 27 agosto 1953). Pastore — Non ho organizzato nulla; vi ho solo preso parte. Presidente — Abbiamo documenti che provano il contrario. Comunque, perché ha abbandonato il posto di lavoro? Pastore — Non ho, come lei si esprime, abbandonato il posto di lavoro. Sono sceso in sciopero, il che è differente, insieme a tutti gli altri, per protestare contro la posizione padronale che ritenevamo ingiusta. Presidente — Lei deve sapere che uno sciopero non dichiarato dalla Camera del lavoro è illegale! Pastore — Non ritengo che questa affermazione sia giusta: si tratta di una manifestazione di protesta spontanea come già ve ne furono e come ancora ce ne saranno. Presidente — Non sa lei che, abbandonando il posto di lavoro, si procura un danno alla direzione dell’azienda? Ci dica da chi è venuta la voce di fare sciopero. Pastore — Alla prima domanda: credo che lo sciopero sia cosa legale, tutto il «danno» che io possa procurare è quello di non fare il mio lavoro e credo che questa sia l’unica arma di cui posso disporre per difendere i miei interessi. Alla seconda domanda: la voce di far sciopero era sorta nell’officina. Nel refettorio, poi, la voce divenne volontà comune, e si uscì. Presidente — Firmi qui sotto il verbale; se vuole può leggerlo. Pastore — Perché devo firmare questo foglio, se non trovo giusto quello che c’è scritto? A questo punto è stato assicurato all’operaio che si trattava di una formalità senza conseguenza. L’operaio firmò. Pochi giorni dopo ricevette la lettera di licenziamento.

La �� seduta » del « processo » contro l’operaio Notario Giuseppe, della Fiat Sima, si è svolta in un giorno della prima decade di settembre. Presenziavano: Beccaria (vice direttore), Daniele (capo ufficio personale) e Bracco (capo sorveglianti). Conduce l’interrogatorio il Daniele, che inizia col dire all’operaio di « non spaventarsi ». — Noi — afferma — vogliamo semplicemente sapere chi vi ha fatto fare sciopero, e per quale motivo. — E’ la stessa direzione — risponde il Notario — che ci ha costretti allo sciopero per la sua intransigenza verso le nostre rivendicazioni economiche e con l’attacco alle Commissioni interne. Il « tribunale » insiste per sapere chi ha « costretto » allo sciopero; «l’imputato replica chiedendo a sua volta ai membri presenti della direzione stessa se possono citare un solo caso di « costrizione ». Cosa che i dirigenti non possono fare. — Lei però — affermano — era in prima fila! La solita stenografa ha steso il resoconto della « udienza ». L’operaio invitato a firmare il verbale, dichiara che è disposto a farlo solo se corrisponder�� al vero. Così il giorno successivo viene nuovamente convocato: gli si fa leggere il verbale. L’operaio chiede di averne una copia: la risposta è negativa. « Allora — afferma l’operaio — io dichiaro di firmare, solo se tutti lo faranno con me e mi sarà data una copia ». L’operaio, dopo varie insistenze con le quali si cerca di convincerlo che trattasi di questione senza importanza, viene allontanato senza nulla di fatto. All’indomani si verifica una terza convocazione: ancora una volta il Notario Giuseppe resiste alle lusinghe e alle pressioni, e non firma. Poco dopo riceve la lettera di licenziamento in tronco.

L’«udienza» contro l’operaio De Petris Antonio, della Fiat Mirafiori — con le solite formalità — si è svolta il 1. settembre alle ore 9 e 53 del mattino. Presenti nell’« aula »: Coppetti (capo servizio vigilanza), Lucchino (capo repar­to), un tizio non identificato e la solita verbalizzante. Il Coppetti « presiede », conducendo l’interrogatorio suppergiù come al solito. Di notevole in questa « udienza » una sua affermazione: — A noi risulta, attraverso i nostri informatori, che lei ha affermato nello spogliatoio che ogni officina avrebbe dovuto scendere in sciopero per quattro ore, in giorni successivi, e che sia stato uno dei primi a incrociare le braccia. Dalle mie parti si dice: se si racconta la verità si può anche essere perdonati! Con queste inchieste noi non vogliamo colpirei lavoratori, ma scoprire i promotori dello sciopero. Nel suo interesse: dica la verità! Successivamente il Coppetti dettava il verbale all’impiegata, sottoponendolo poi al De Petris. L’operaio ha firmato. Anche in questo caso la « sentenza » è stata di «licenziamento a vita».

Il « processo » contro l’operaio De Petris Giovanni, della Fiat Lingotto, si è svolto il 2 settembre alle ore 15. «Giudici» in « aula »: Granello Margini e Fantone. Si �� svolto suppergiù come i precedenti. Di notevole, questo: avendo subito chiesto l’operaio di essere assistito durante il dibattito dalla Commissione interna, il Margini ha risposto: — Potremmo anche chiamare la Commissione interna, ma non lo facciamo! Giunti al momento della firma del solito verbale, l’operaio si rifiuta perché l’« interrogatorio » si è svolto in assenza della Commissione interna. Vista l’insistenza del De Petris su questo punto, il Margini esclama: — Se lei continua in questo atteggiamento, prenderemo severi provvedimenti. Pochi giorni dopo l’operaio riceve la solita « sentenza »: « licenziamento a vita ».

Uno dei casi più gravi è certo il « processo » contro l’operaio Gastaldi Giuseppe della Fiat Lingotto, data la figura di Gastaldi, partigiano proposto per la decorazione, invalido di guerra e successivamente invalido del lavoro. Il « pro­cesso » si ‘è svolto nella prima decade di settembre. « Giudici » in « aula »: Fan­tone, Granello, Margini. Avendo l’« imputato » chiesto il nome dell’interrogante, questi ha sentito il bisogno di rispondere: — Stia tranquillo, non sono uno della Questura. Ecco un estratto del « verbale d’udienza »: — Dov’era da mezzogiorno all’una del giorno 27 settembre? (periodo della refezione). — Ad ascoltare la relazione autorizzata della Commissione interna. — Perché, quando è suo­nato il campanello, non ha ripreso lavoro? — Nessuno l’ha fatto, in segno di protesta. — Quali responsabilità avevate nella manifestazione e quali intenzioni erano le vostre? — Le stesse di tutti: ci siamo portati davanti la palazzina della direzione, per attendere la risposta che avrebbe dato alla nostra delegazione.

Il « giudice » Fantone — stilato il verbale — lo ha letto ai presenti. Si chiede all’operaio di firmare, ma questi obietta che ne vuole una copia preventivamente, per esaminarla e chiedere consiglio alla Commissione interna. Si respinge la domanda e si esclama: Lei deve firmare; — il « giudice » Margini, visibilmente eccitato grida: Allora, per cosa è stato qua? per farci perdere tempo? Si conclude il « processo » facendo rilevare al Gastaldi che ha commesso due infrazioni: la prima per lo sciopero, la seconda per rifiuto d’obbedienza, per cui dovrà subire una castigo maggiore. Pochi giorni dopo l’operaio riceve la sentenza: « licenziamento a vita ».

L’« udienza » contro l’operaio Chietto Guido della Fiat Spa, si è tenuta il 31 agosto; anche questo è un episodio abbastanza clamoroso, essendo il Chietto un « anziano » della Fiat, particolarmente amato e stimato non solo dai compagni di lavoro, ma dagli stessi superiori. « Giudici » in « aula ��; Pistamiglio, Ardis­sone e Pittaluga, oltre la solita stenografa verbalizzante. Hanno condotto l’interrogatorio Ardissone e Pittaluga. Gli è stato chiesto quale vecchio dipendente « particolarmente apprezzato » di voler « collaborare con l’azienda » nella ricerca dei promotori delle manifestazioni. L’operaio ha fatto osservare con estrema dignità che già una volta si era rifiutato a mansioni del genere: fu nei primi mesi del 1945, quando era stato convocato dalla allora questura repubblichina. Pochi giorni dopo, il «tribunale privato» della Fiat decretava il licenziamento di Chietto Guido.

La violazione della norma costituzionale e della legge penale

Come abbiamo già detto none necessario aggiungere altro a queste cronache essenziali delle « udienze �� — e si tratta naturalmente solo di alcune fra le molte tenute dal tribunale privato della Fiat. E’ bene, però, limitandosi alla loro valutazione strettamente giuridica, sulla base, naturalmente, delle leggi dello Stato italiano, e non di quelle della Fiat, fare osservare che l’operato del « tribunale privato » della Fiat viola: l’art. 40 della Costituzione che sancisce la libertà di sciopero; l’art. 2 che sancisce i diritti dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali dove svolge la sua attività; l’art. 3, che dice essere compito della Repubblica il rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che « limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini », impediscono il pieno sviluppo della personalità umana; l’art. 13, sulla libertà della persona del cittadino; l’art. 41, in quanto esso stabilisce che lo svolgimento della��iniziativa privata non può effettuarsi in contrasto con la libertà e la dignità umana. Premesso infine che da parte del « tribunale privato » della Fiat non vi è alcuna intimata imputazione di natura disciplinare specifica, od altro, nel quale caso l’operaio si potrebbe difendere e invocare l’assistenza sindacale che gli è dovuta, è necessario rilevare che il «tribunale» in questione rappresenta una violazione clamorosa: dell’art. 294 del Codice penale, essendovi impedimento, con la minaccia che può essere « diretta o indiretta », dell’esercizio di un diritto politico, quale quello dello sciopero, sancito dalla Costituzione italiana; dell’art. 610 dello stesso Codice penale, il quale reprime, qualificandola « violenza privata », la violazione delle cosiddette libertà civili, di pensiero, di riunione di associazione. Facciamo rilevare ancora che l’obbligo di firmare il verbale dell’interrogatorio non è contemplato dalle leggi di P.s. della Repubblica e, crediamo, da quelle di nessun paese civile. Viceversa, per i membri delle commissioni d’inchiesta della Fiat, come appare dagli esempi riportati — alcuni��solamente, tra centinaia di altri — il rifiuto di firmare il verbale dell’illegale interrogatorio costituisce un grave « reato », o, quanto meno, una aggravante dei « capi di imputazione ».

Ci pare che bastino queste esemplificazioni, per dare un’idea della gravità dei fatti e del clima veramente irrespirabile che regna negli stabilimenti del complesso Fiat. Qui non vengono colpiti solamente i principi costituzionali o il contratto di lavoro, ma le stesse libertà personali e private dei lavoratori, che si vogliono costringere a far opera di delazione, a degradarsi, e che vengono, di fatto, sequestrati e sottoposti a minaccia privata.

In merito a tali fatti, la segreteria provinciale della Fiom di Torino ha presentato una documentata denuncia alla procura della Repubblica, mentre gli onorevoli Novella e Foa hanno presentato un’interrogazione alla Camera dei deputati. Va ancora ricordato che alcuni di questi operai interrogati e poi licenziati, sono stati successivamente chiamati dall’ufficio politico della Questura e dai commissariati di zona ed invitati dai funzionari di P.s. ad «essere tranquilli»: si sta evidentemente cercando ogni modo per presentare all’opinione pubblica gli operai come dei « turbolenti » o come dei veri e propri malfattori, mentre essi sono i migliori dirigenti sindacali, stimati da tutte le maestranze per la loro onestà, la loro dignità dal punto di vista tecnico-professionale (alcuni di essi, ad esempio, in circa 20 anni di lavoro alla Fiat, non avevano mai ricevuto osservazioni di sorta per il loro lavoro, il più delle volte altamente qualificato).

La persecuzione dopo il licenziamento alla Fiat

Abbiamo cercato, in questa breve « memoria », di dare un quadro generale della situazione esistente soprattutto nel complesso Fiat, ma anche nel resto dell’industria metalmeccanica torinese in misura più o meno simile, limitandoci a soffermarci sui particolari solo quando questi erano strettamente necessari per la più chiara comprensione della materia. Ma di esempi se ne potrebbero fare a migliaia. Non c’è, si può dire, operaio, tecnico o impiegato il quale non abbia subito direttamente o indirettamente, singolarmente o collettivamente, la pressione dello strapotere padronale e non abbia sofferto di tutta questa catena di arbitrii e di violenze.

Dobbiamo aggiungere che, anche quando il lavoratore, in seguito al licenziamento, cessa ogni rapporto con la direzione, egli continua a subirne il ricatto e le angherie. Essere licenziati dalla Fiat significa oggi essere licenziati a vita e non solamente perché esistono nella nostra provincia oltre 60 mila disoccupati, per cui il mercato del lavoro è saturo oltre ogni dire e la crescente crisi economica rende pi�� difficile che mai il trovare un’occupazione. Per la maggior parte dei licenziati della Fiat il problema potrebbe quasi non esistere, dato che la loro qualifica professionale può metterli in una situazione di relativo privilegio nei confronti degli altri lavoratori disoccupati. Il fatto è che chi viene licenziato dalla Fiat si vede chiudere ogni porta in faccia e nessun industriale, nessun privato imprenditore (il quale conosce la potenza economica e le cospicue aderenze politiche di questo colosso della finanza e dell’industria, dal quale, anzi, il più delle volte, dipende direttamente o indirettamente, in qualità di fornitore o subfornitore, o di concessionario), arrischia di assumere un lavoratore licenziato dalla Fiat per motivi politici o sindacali, per non correre il rischio di vedersi egli stesso privato di ogni possibilità di lavoro, mediante tutta una serie di mezzi che vanno dalle limitazioni o dalla totale negazione del credito, allo jugulamento mediante il rifiuto di ulteriori ordinazioni o l’imposizione di tariffe inaccettabili, ecc. I lavoratori licenziati dalla Fiat, insieme alle loro famiglie, sono privati non solo del lavoro ma di ogni possibilità di guadagnarsi il proprio sostentamento. Impedendo a chi essa licenzia di trovarsi un’occupazione, consona alle sue attitudini e alla sua esperienza o qualifica professionale, presso ogni altra industria, la Fiat ha, in pratica, rimesso in vigore le famigerate liste nere — vere e proprie liste di proscrizione — attraverso le quali, nel 1919-1920, la grande industria torinese diede un rilevante contributo alla vittoria del fascismo: allora come oggi, chi era iscritto in tali liste si vedeva sbarrare in faccia la porta di ogni stabilimento, e, allora come oggi, si trattava di dirigenti politici e sindacali dei lavoratori.

La nostra relazione sarebbe però monca se, da parte nostra, non si desse una interpretazione e non si cercasse di dare una spiegazione a tutti questi fatti sui quali abbiamo voluto attirare l’attenzione. Questi fatti, anzi, non si spiegano da soli, né sono attribuibili al carattere o alle inclinazioni personali dì questo o di quel dirigente aziendale. Il fatto si è che licenziamenti e rappresaglie di altro genere seguono da vicino o addirittura precedono immediatamente ogni azione rivendicativa dei lavoratori. Le tre confederazioni sindacali dei lavoratori, Cgil, Cisl e Uil, hanno più volte documentato all’opinione pubblica l’insufficienza dei salari degli operai e degli impiegati, la crisi in cui si dibatte la nostra economia, i pericoli che minacciano la produzione e che si fanno già sentire pesantemente anche nella nostra città, che poteva sembrare immune dal flagello della smobilitazione che ha colpito altre province italiane: Nebíolo, Savigliano, Riv, Aeritalia, Fiat Materferro, con i licenziamenti in massa e le riduzione di orario, ne sono una prova fin troppo evidente. I lavoratori si battono contro questo stato di cose, per salvare il loro lavoro e il loro pane, nell’interesse proprio ma anche nell’interesse di tutta la nazione, che deve sviluppare e non chiudere le proprie industrie, aumentare, e non diminuire, la produzione. Ebbene, ogni qualvolta i lavoratori iniziano un’azione sindacale, si scatenano le intimidazioni e le minacce, seguite poi dalle punizioni e dalle rappresaglie. Oltre a ciò vi è la crudele intensificazione dei ritmi di lavoro, che si verifica soprattutto negli stabilimenti Fiat, e che esaurisce tutte le energie fisiche dei lavoratori. E’ opinione di questa organizzazione sindacale che gli illeciti costituzionali e giuridici e le violazioni dei contratti sindacali siano direttamente legati a questa intensificazione dei ritmi di produzione e che essi aumentino di misura e di gravità quanto più si pretende dai lavoratori di diminuire i tempi di cottimo. Dal 1948 ad oggi, i profitti ufficiali della Fiat sono saliti da 800 a oltre 5.300 milioni ed è proprio in questo periodo che, come documentato, si è avuto il crescendo delle sopraffazioni e degli arbitrii; ed è in questo periodo (e più precisamente, negli ultimi tre anni) che la produttività di ogni lavoratore è aumentata di oltre il 25% in tutto il complesso Fiat, passando da una produzione in chilogrammi pro capite di 2,18 a 3,17. 1 lavoratori sono più volte scesi in agitazione, ricorrendo anche allo sciopero di reparto, di squadra, di officina o generale di tutto il complesso Fiat o nell’intera provincia, contro l’aggravarsi delle loro condizioni di lavoro. Queste agitazioni hanno portato con sè le rappresaglie e i licenziamenti. E’ una situazione insostenibile quella che oggi esiste nelle fabbriche e particolarmente alla Fiat, una situazione che deve essere modificata col contributo di tutti gli strati democratici della popolazione, con l’intervento di chi, per il suo alto prestigio e la sua autorità nel mondo della cultura, della giurisprudenza, delle professioni liberali, è in grado far sentire la sua voce e di farsi ascoltare, nell’interesse della pace sociale, della tranquillità e del benessere di tutti.


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