Per la ripresa produttiva della Fiat

di Sergio Garavini

La crisi che da otto mesi travaglia la Fiat, ha riproposto ai lavoratori del grande complesso industriale i problemi dell’orientamento nella gestione della loro industria, in modo urgente e drammatico.

Agli osservatori superficiali della situazione industriale poteva parere alcuni mesi or sono, constatando lo sviluppo della produzione automobilistica, fondamentale per la Fiat, che questo complesso rappresentasse, nel quadro della difficile situazione dell’industria meccanica italiana, un’oasi di progresso produttivo. A questi stessi osservatori superficiali può parere che il ritorno con il 1° aprile all’orario normale di una parte dei 35 mila lavoratori Fiat, ai quali l’orario era stato ridotto nel settembre dello scorso anno, costituisca il superamento di una momentanea, anche se grave, fase di crisi, che pure aveva ed ha ridotto la produzione automobilistica negli ultimi mesi del 1951 e nei primi mesi del 1952, di più del 20%. In realtà il ritorno all’orario normale di una parte dei lavoratori è — come l’integrazione salariale di 12.000 lire erogata a tutti i lavoratori Fiat costretti per 6 mesi a orario ridotto — un primo risultato ed è stato realizzato in corrispondenza della ripresa stagionale del mercato automobilistico, che già nel 1951, l’anno della crisi, aveva spinto la produzione Fiat nei mesi primaverili a quote prima mai raggiunte.

Ma l’orientamento nella gestione del complesso industriale non è mutato. Sono rimaste, anzi si sono aggravate, le cause della crisi scoppiata nel 1951. Queste cause si possono riassumere nel fatto che gli amministratori della Fiat attuano, in tutti i settori produttivi del grande complesso, una politica di monopolio, che ha conseguenze disastrose nel mercato nazionale, e sottopone a forme di sfruttamento inaudito i lavoratori.

Si prenda ad esempio la produzione di autovetture che costituisce i 3/5 del fatturato Fiat. Colmati i vuoti provocati dalla guerra nel parco automobilistico nazionale, gli amministratori della Fiat non si sono posti il problema di mantenere vivace la domanda di autovetture, offrendo autovetture più economiche, sia con la riduzione dei prezzi dei vecchi tipi sia con la produzione di nuove vetture utilitarie; e ciò malgrado che, in condizioni analoghe, grandi industrie automobilistiche straniere abbiano seguito questa strada (in Francia ad esempio, la Renault ha lanciato nel 1949 la 4 HP, e la Citroen nel 1949 la 2 HP).

Al contrario, mentre ancora nell’aprile del 1951 Valletta ribadiva l’intenzione di non produrre nuovi tipi di vetture utilitarie, all’inizio del 1951 la Fiat aumentava i prezzi delle vetture dell’11%. Esempio eloquente di quella politica di monopolio con la quale si sfruttano fino all’osso i consumatori, ci si garantiscono profitti elevatissimi per ogni unità prodotta, anche se ciò porta a limitare il potere di acquisto del mercato, e quindi a preparare il terreno al maturarsi di una nuova crisi produttiva.

E’ questa la posizione degli amministratori della Fiat in tutti i settori produttivi della grande industria torinese. Salvo che essa è accentuata per altre produzioni, la cui importanza nel quadro dell’economia nazionale è enorme, come i trattori. Basti rilevare che, lanciati nel 1951 nuovi tipi di trattori, a costi di produzione molto più bassi dei tipi precedenti, la Fiat ha in questo campo elevati i prezzi dal 15 al 25%.

E’ evidente che una politica di questo genere, da parte di un complesso che ha una posizione di dominio nell’industria meccanica italiana, che è il maggior produttore di autovetture, autoveicoli industriali, trattori, motori marini, aerei, che è un forte produttore siderurgico, costituisce un fattore depressivo dell’economia nazionale e si riflette negativamente sulla situazione del già agonizzante settore metalmeccanico. I lavoratori italiani, come si sa, hanno dovuto ingaggiare lotte eroiche per la difesa dell’industria e lo sviluppo della produzione, lotte che basta ricordare con il nome delle Reggiane.

Ma questa politica di monopolio chiude qualsiasi prospettiva di sviluppo produttivo alla stessa Fiat. Di ciò sono pienamente convinti anche i suoi amministratori, che non hanno esitato a dichiarare che le commesse di guerra sono necessarie (per colmare i vuoti aperti nei programmi di produzione dalla loro politica!), e che la mancanza delle commesse di guerra sconvolge i loro piani produttivi. Le notizie sull’assegnazione delle commesse belliche americane alla Fiat costituiscono però la più eloquente conferma che neppure nella via del riarmo, di per se stessa disastrosa per l’economia in crisi dei paesi occidentali, esiste una prospettiva di sviluppo produttivo per la Fiat. Infatti all’industria torinese sono state assegnate dagli americani limitate forniture di materiale, di secondaria importanza per le forze armate americane di stanza in Europa: parrebbe che la Fiat sia ridotta al rango di una sorta di bottega al servizio delle truppe straniere occupanti l’Europa! Non è possibile pensare che forniture di questo genere costituiscano una seria prospettiva produttiva per un complesso che ha l’importanza e il prestigio della Fiat; al contrario, è da ritenere che il soddisfacimento di forniture di materiali di secondaria importanza costituisca un serio impaccio nella impostazione di programmi di produzione in grande serie, a bassi costi e bassi prezzi, a cui è legato l’avvenire della Fiat, come di ogni grande industria moderna.

Le eventuali forniture in grande di materiale bellico finanziate dal governo italiano potrebbero costituire una soluzione definitiva della crisi. Le commesse di guerra sono inevitabile conseguenza di una politica di immiserimento crescente del nostro paese, ed esse non determinerebbero altro che una ulteriore diminuzione del potere d’acquisto del mercato nazionale, una caduta, ancora più grave di quella che già si manifesta, della richiesta di prodotti, e quindi un aggravamento delle cause stesse della crisi della Fiat.

Un’altra via d’uscita dall’attuale situazione di crisi tentata dagli amministratori della Fiat, è l’esportazione. A parte le difficoltà e la precarietà dell’esportazione in un periodo di burrasche in fatto di dogane, di contingenti, di liste di merci libere, di divieti ecc., l’esportazione può essere una risorsa per la Fiat, come per le altre industrie italiane. Sì, ma ad una condizione: che ci si metta sulla strada di una produzione su vasta scala, di massa per il mercato interno per poter conseguire bassi costi di produzione, in modo da potersi affermare nella concorrenza internazionale, e conquistare stabili mercati all’esportazione.

Il punto decisivo, dunque, resta l’orientamento produttivo e commerciale verso il mercato interno; e la via da ricercare è quella che porta a collocare in Italia una produzione crescente: nel caso della Fiat, di vetture, autocarri, trattori, ecc. La lotta per l’aumento dei salari e degli stipendi tende a conquistare in tutto il paese un maggior potere d’acquisto del mercato interno, e quindi una maggior richiesta di prodotti dell’industria e dell’agricoltura.

Nel quadro e a fianco della lotta salariale, i lavoratori della Fiat devono affrontare i problemi dell’orientamento produttivo e commerciale del grande gruppo monopolistico in cui prestano il loro lavoro. A questo compito li richiama non soltanto la necessità di assicurarsi la stabilità della propria occupazione e l’orario pieno di lavoro ma l’esigenza dell’industria e dell’economia nazionale a che venga rovesciata la politica monopolistica e di crisi degli amministratori della Fiat, che vengano avviati programmi di sviluppo della produzione Fiat nel quadro dell’azione generale dei lavoratori a difesa dell’industria e per la ripresa produttiva.

La necessità di costituire un’organica piattaforma di lotta dei lavoratori della Fiat per lo sviluppo della produzione, (sulla base delle indicazioni date fin dal settembre scorso dalle organizzazioni sindacali di Torino) e di raccogliere intorno ai lavoratori della Fiat l’opinione pubblica torinese nei suoi diversi strati sociali, ha fatto nascere l’iniziativa della «Conferenza economica per la ripresa produttiva della Fiat», in corso di organizzazione, che avrà luogo l’8 giugno prossimo a Torino.

La preparazione di questa Conferenza ha già segnato successi importanti. In 15 assemblee rionali, organizzate con la partecipazione dei lavoratori della Fiat, la solidarietà dell’opinione pubblica, particolarmente fra artigiani, commercianti e professionisti, con le lotte e i problemi della classe operaia della Fiat si è fatta sentire come non mai a Torino.

Ma il punto di forza della preparazione della conferenza è stata la presentazione della proposta produttiva che sarà il centro della conferenza economica: una nuova vettura utilitaria Fiat. Questa proposta, presentata all’apertura del Salone dell’Automobile, con grande rilievo propagandistico, sulla stampa di sinistra, e con manifesti e volantini, ha avuto una ripercussione enorme nell’opinione pubblica ed ha dominato il Salone dell’Automobile. Tutta la stampa nazionale di ogni orientamento politico, la stampa economica e specializzata con ancora più grande rilievo, hanno registrato il successo dei lavoratori e soprattutto la rispondenza delle proposte dei lavoratori alle esigenze del mercato nazionale. Quanto agli amministratori della Fiat, non volendo discutere sul merito della proposta dei lavoratori, sono caduti nel ridicolo di fronte ai loro stessi tecnici e dirigenti, presentando una denuncia alla Magistratura perché il progetto dei lavoratori sarebbe stato rubato alla Fiat! Tutti sanno che il progetto stesso, redatto da tecnici estranei alla Fiat e molto conosciuti per la loro competenza, non definiva che sommariamente e vagamente le caratteristiche della nuova utilitaria, sulla base degli studi recenti e delle più provate esperienze internazionali in questo campo. Alla Conferenza Fiat questo ed altri problemi produttivi e commerciali, dalle autovetture, agli autocarri, ai trattori, verranno dibattuti, e le proposte che ne usciranno indicheranno la via dello sviluppo produttivo della Fiat, che i lavoratori e l’opinione pubblica torinese e italiana esigono dall’amministrazione della Fiat.

Si può quindi affermare che la Conferenza Fiat, l’8 giugno a Torino, costituisce una tappa importante della lotta per il Piano del lavoro, per la difesa dell’industria e lo sviluppo della produzione civile.

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