Le rappresentanze sindacali unitarie

Il percorso che ha portato le confederazioni sindacali a definire un nuovo modello di rappresentanza sindacale nei luoghi di lavoro è stato lungo e accidentato. Dopo la rottura del patto federativo nel 1984 si era prodotta una lunga fase di logoramento nel rapporto tra sindacati e lavoratori, proprio per l’assenza di regole democratiche condivise che consentissero la verifica periodica della reale rappresentatività dei sindacati. Inoltre, alla fine degli anni ’80 erano intervenuti alcuni accordi “separati”, in particolare alla Fiat (firmati da Fim, Uilm e Fismic, con l’esclusione della Fiom), che avevano dato un segnale negativo nei rapporti tra i sindacati, improntati ormai a una forte competizione reciproca. Questa situazione di incertezze e di reciproche accuse aveva fatto maturare la consapevolezza nelle confederazioni sindacali sulla necessità di individuare le regole minime comuni che dessero una risposta ai problemi riguardanti le rappresentanze sindacali dei lavoratori. Inoltre, erano state presentate in Parlamento le prime proposte di legge per regolare rappresentanza e rappresentatività sindacale. Una prima discussione tra Cgil, Cisl e Uil aveva portato a definire un modello di rappresentanza nel maggio del 1989, nel corso di una defatigante contrattazione con la Confindustria. La cosiddetta intesa sui Cars (Consigli aziendali delle rappresentanze sindacali) rappresentava un compromesso che si attirò subito molte critiche e che, tuttavia, venne meno quando ormai tutto sembrava definito. Era un modello di rappresentanza che prevedeva la nomina del 50% della rappresentanza aziendale da parte delle organizzazioni sindacali, mentre il restante 50% era eletto dai lavoratori. In questo modo si realizzava un meccanismo che sfavoriva la possibilità per una singola organizzazione sindacale di detenere la maggioranza dei delegati. Inoltre, sembrava anche introdurre un dualismo nella rappresentanza per via di quel 50% che era espressione dei sindacati. In compenso l’ipotesi di accordo unitario delegava la titolarità della contrattazione aziendale ai Cars e sanciva che l’intesa doveva essere perfezionata con un accordo interconfederale con la Confindustria per darle un valore applicativo effettivo.

Sembra che quest’ultimo punto sia stato la causa del ripensamento ad accordo raggiunto: nonostante che il meccanismo delle nomine premiasse inevitabilmente le confederazioni più piccole, la Uil in particolare si dimostrò restia ad accettare il punto concernente l’autonomia del ruolo negoziale in azienda. Si deve aggiungere che, per motivi diversi, questa intesa aveva provocato dissensi in tutte e tre le confederazioni sindacali con le conseguenti richieste di modifiche, inoltre la Confindustria aveva manifestato uno scarso apprezzamento per il modello proposto, quindi tutto aveva congiurato per il fallimento dell’intesa unitaria.

Soltanto all’inizio degli anni ’90, quando si annunciavano gli effetti di una pesante crisi economica con gli inevitabili processi di ristrutturazione che rendevano più evidenti i segni del logoramento della rappresentatività sindacale, arrivarono alcune intese unitarie. La stessa Corte Costituzionale era intervenuta censurando la legislazione vigente per la mancanza di adeguati criteri di misurazione della rappresentatività sindacale, ritenendo necessario stabilire “regole ispirate alla valorizzazione dell’effettivo consenso come metro di democrazia anche nell’ambito dei rapporti tra lavoratori e sindacato[1]. Più in generale vi era una consapevolezza diffusa che il pluralismo sindacale si andava articolando ulteriormente con nuovi soggetti extraconfederali che esercitavano una concorrenza pericolosa in particolari fasce di lavoratori. Ciò richiedeva la rielaborazione di un modello di rappresentanza sindacale che consentisse alle confederazioni di misurare periodicamente il proprio consenso tra i lavoratori.

In ogni modo l’ipotesi fallita dei Cars aveva favorito la formazione di un’opinione che si faceva strada nel sindacalismo confederale: la necessità di un accordo con le controparti imprenditoriali per applicare effettivamente le eventuali intese sulla rappresentanza dei lavoratori. Nel dibattito sindacale di allora era presente la valutazione che tale percorso comportava il rischio di un condizionamento corporativo – aziendalistico della rappresentanza sindacale; ma i ripetuti fallimenti, cui avevano portato i molteplici accordi raggiunti tra i sindacati di categoria, rendevano evidente la necessità di una normativa vincolante per tutti i soggetti interessati, la cui esigibilità non poteva che derivare da una norma esogena come un accordo interconfederale o una normativa legislativa.

L’intesa del 1991

Dopo il fallimento dell’intesa sui Cars, maturò lentamente una nuova intesa unitaria nel 1991. Il 1° marzo 1991 fu raggiunto un accordo tra Cgil, Cisl e Uil sulla democrazia sindacale: l’intesa quadro prevedeva le regole per i rapporti tra le Confederazioni e la costituzione delle rappresentanze sindacali unitarie (Rsu). L’intesa unitaria si era realizzata in occasione di un’importante trattativa tra sindacati, imprese e governo sul costo del lavoro, la riforma del salario e della struttura contrattuale.

L’accordo del 1991 tra Cgil, Cisl e Uil si proponeva di limitare gli aspetti di concorrenza sindacale e di individuare un minimo terreno unitario. In tal senso le regole contenute nell’intesa erano piuttosto deboli e raramente vincolanti: dal punto di vista delle relazioni tra le confederazioni prevedevano soprattutto la necessità di discutere preventivamente le piattaforme rivendicative e, in caso di contenzioso, rinviare lo stesso alle istanze superiori. In ogni caso prevaleva il criterio dell’unanimità delle tre organizzazioni per assumere le decisioni e attuare una “unità di azione” sulle principali attività sindacali: elaborazione delle piattaforme rivendicative, conduzione dei negoziati, sottoscrizione degli accordi e proclamazione delle iniziative di lotta.

Nel campo della rappresentanza si proponeva di procedere alla costituzione delle Rsu elette dai lavoratori sulla base di liste presentate dalle organizzazioni sindacali. I seggi a disposizione erano ripartiti al 67% in proporzione diretta ai voti raccolti da ciascuna lista, mentre il restante 33% era nominato dalle organizzazioni sindacali, con una ripartizione proporzionale ai voti raccolti. Tuttavia la quota spettante a Cgil, Cisl e Uil, sarebbe stata ripartita pariteticamente, per “rafforzare la solidarietà dei sindacati confederali[2], indipendentemente dai voti raccolti da ciascuna organizzazione. La formulazione riguardante questo punto era alquanto imprecisa e poteva anche lasciare supporre una sorta di dualismo della rappresentanza, non essendo definiti i reciproci rapporti tra la componente elettiva e quella che rappresentava i sindacati.

Era previsto che potessero partecipare alle elezioni anche eventuali soggetti extraconfederali, come i sindacati autonomi, purché formalmente costituiti in associazione e previa la raccolta di almeno il 5% delle firme dei lavoratori aventi diritto al voto. Questa norma aveva lo scopo di creare uno sbarramento ai soggetti che potevano concorrere alle elezioni, soprattutto per il vincolo di essere formalmente costituiti in associazione escludendo, quindi, eventuali gruppi di lavoratori che decidessero di presentare una propria lista “spontanea”.

Nell’intesa era stabilito che la Rsu durava in carica per due anni e decideva a maggioranza qualificata, da definirsi negli accordi nazionali di categoria. In generale, si definiva la necessità di informare e consultare i lavoratori nei processi di negoziazione e prima della conclusione delle trattative, ma il referendum era definito come uno strumento non adatto alla consultazione su piattaforme e accordi sindacali, materie giudicate troppo complesse per uno strumento che richiedeva quesiti semplici e per aree ristrette di lavoratori. In ogni caso le procedure di consultazione dei lavoratori erano demandate a successive intese a livello di federazioni di categoria.

L’intesa assegnava alle Rsu competenze negoziali che dovevano svilupparsi a livello aziendale “con il concorso e sostegno dei sindacati di categoria[3], demandando ai contratti nazionali di lavoro le materie e le modalità di contrattazione. In sintesi, il compromesso raggiunto manteneva dei margini di ambiguità tra il modello di “sindacato generale” e quello di “sindacato degli iscritti”, lasciando aperti molti problemi. In ogni modo, rispetto al modello dei Cars, si era verificato un evidente spostamento a favore di una composizione elettiva più accentuata, inoltre la percentuale di firme necessarie perché i soggetti diversi dai sindacati confederali potessero partecipare alle elezioni era stata in pratica dimezzata (dal 10% al 5%).

Il modello di rappresentanza sindacale proposto presentava evidenti analogie con la commissione interna, nel senso di prefigurare una specie di “parlamentino” eletto dai lavoratori sulla base delle liste presentate dai singoli sindacati. Però, l’assegnazione di poteri negoziali formalmente riconosciuti rappresenta una sostanziale differenza con la commissione interna, che non aveva questo potere. L’intesa prevedeva che le decisioni sulle piattaforme e sugli accordi fossero assunte dalla Rsu a maggioranza qualificata, anche se rinviava a successivi accordi nazionali di categoria la definizione dei termini e delle modalità di attuazione. Questo punto è stato scarsamente realizzato nella pratica, anche per le evidenti ambivalenze che presenta, poiché se da una parte può essere utile per tutelare le minoranze, dall’altra assegna alle stesse un implicito diritto di veto, con i conseguenti rischi di paralisi dell’organismo di rappresentanza. In ogni modo era previsto anche il diritto per le singole organizzazioni sindacali di dissociarsi dalle scelte della Rsu, introducendo formalmente il principio della separazione dei poteri e delle responsabilità.

L’intesa rappresentava un punto di compromesso arduo per le posizioni espresse dalla Cgil, ma in questo caso l’obiettivo di portare la generalità dei lavoratori a votare le proprie rappresentanze, in alcuni casi dopo molti anni, era considerato un motivo sufficiente per accettare regole non sufficientemente chiare e vincolanti su tutti gli aspetti della democrazia sindacale, in particolare per quanto riguardava i modi di consultazione dei lavoratori. Anche in questo caso l’intesa tra i sindacati confederali era considerata propedeutica a un accordo interconfederale e a una legge di sostegno, che desse anche efficacia erga omnes ai contratti sottoscritti.

Per il momento l’intesa unitaria si presentava come un documento programmatico del sindacalismo confederale, senza effettive possibilità di un’applicazione estesa; anche considerando lo svolgimento del negoziato tra sindacati, imprenditori e governo, che si limitò essenzialmente ai temi del costo del lavoro e della scala mobile.

Le proposte di legge su rappresentanza e rappresentatività sindacale

Tra la fine degli anni ’80 e l’inizio degli anni ’90 furono presentati molti disegni di legge che si proponevano di regolare la rappresentanza e la rappresentatività dei sindacati. Solamente nel corso del 1992 furono presentati in Parlamento ben quattro disegni di legge[4]. Queste proposte legislative erano articolate diversamente ma avevano in comune l’obiettivo di stabilire criteri di rappresentatività sindacale verificabili, dando attuazione all’articolo 39 della costituzione. Tutte si proponevano l’obiettivo dell’efficacia erga omnes dei contratti sottoscritti, stabilendo però strumenti di partecipazione democratica che ne giustificassero la validità generale. Tra questi anche l’obbligo, nel caso di un consistente dissenso, di ricorrere al referendum tra i lavoratori.

Il Protocollo del 1993: modello contrattuale e della rappresentanza

Com’è noto il Protocollo sulla politica dei redditi, sottoscritto formalmente il 23 luglio 1993 tra governo, organizzazioni imprenditoriali e confederazioni sindacali, era mirato a dare stabilità economica e occupazionale al paese. Il Protocollo del ’93 è stato definito da alcuni studiosi come un accordo di tipo “fondamentale”, poiché ha presentato caratteristiche del tutto nuove nelle politiche concertative e contrattuali in Italia.

Nel Protocollo il capitolo riguardante le rappresentanze sindacali comprendeva, con alcune modifiche, l’intesa unitaria Cgil, Cisl e Uil del 1° marzo 1991. La composizione della rappresentanza sindacale unitaria è stabilita in due terzi di membri eletti e un terzo designato dalle organizzazioni sindacali “stipulanti il Ccnl, che hanno presentato liste, in proporzione ai voti ottenuti”; in questo caso vi è una differenza significativa con l’intesa del 1991, che stabiliva la distribuzione paritetica della quota del 33% designato. Nell’insieme, il testo del Protocollo si limitava a stabilire che le competenze contrattuali e legislative prima detenute dalle Rsa passavano alle Rsu e che le aziende erano obbligate a mettere a disposizione delle organizzazioni sindacali gli strumenti per poter effettuare correttamente le elezioni delle Rsu (elenco dei dipendenti e spazi per le operazioni di voto); perciò era evidente che una regolamentazione più precisa era rinviata a successivi accordi tra le parti. È necessario anche rilevare che il testo del Protocollo introduceva un punto importante indicando che “la legittimazione a negoziare al secondo livello le materie oggetto di rinvio da parte del Ccnl è riconosciuta alle rappresentanze sindacali unitarie ed alle organizzazioni sindacali territoriali dei lavoratori aderenti alle organizzazioni stipulanti il medesimo Ccnl…[5]. Questa formulazione evitava di introdurre una gerarchia tra strutture sindacali territoriali e Rsu definendo lo stesso livello di competenze contrattuali. Grande importanza riveste la convergenza che il Protocollo indica tra i settori privati e quello pubblico nel modello di rappresentanza anche se, come si vedrà in seguito, saranno necessari percorsi legislativi e contrattuali diversi per rendere applicabili le normative sopra citate anche nel settore pubblico.

L’accordo CGIL CISL UIL – Confindustria del 20 dicembre 1993 sulle R.S.U.

Per dare seguito a quanto sottoscritto nel Protocollo del 23 luglio 1993 Cgil, Cisl, Uil e Confindustria raggiunsero un accordo, il 1° dicembre 1993, tuttora in vigore nel regolare le modalità elettorali, il ruolo e i diritti delle Rsu (l’accordo fu firmato formalmente il 20 dicembre dello stesso anno). La novità è evidente: infatti, l’ultimo accordo interconfederale sulle rappresentanze sindacali risaliva al 1966 e riguardava ancora le commissioni interne. Con questo accordo il sistema di relazioni sindacali italiano ha finalmente avuto un parametro concreto con cui rendere più trasparente il sistema di rappresentanza e superare la tendenza, manifestatasi nel corso del decennio precedente, alla proliferazione di sigle sindacali, spesso senza una reale consistenza organizzativa. Il modello elettorale della rappresentanza sindacale, previsto dall’accordo, comporta indubbiamente un passo avanti nel superare il carattere di informalità della precedente situazione, sconosciuta nella maggioranza dei paesi europei, dove i sistemi di rappresentanza sono regolati dalla legge. In ogni caso l’informalità rimane il criterio prevalente nel funzionamento interno della Rsu, riconfermando in questo una tradizione largamente presente nel vecchio modello consiliare.

Le regole applicative per le elezioni delle Rsu prescrivono:

 All’elezione della r.s.u. possono concorrere liste elettorali presentate dalle:

a) associazioni sindacali firmatarie del presente accordo e del contratto collettivo nazionale di lavoro applicato nell’unità produttiva;

b) associazioni costituite con un proprio statuto ed atto costitutivo a condizione che:

  1. accettino espressamente e formalmente la presente regolamentazione;
  2. la lista sia corredata da un numero di firme di lavoratori dipendenti dell’unità produttiva pari al 5% degli aventi diritto al voto[6].

Queste norme pongono, quindi, uno sbarramento minimo alla possibilità di proliferazione delle liste al di fuori di quelli che sono i sindacati riconosciuti, che consiste in quel 5% di firme (la cui raccolta può essere relativamente facile) ma soprattutto nel fatto che la lista deve essere presentata da un’associazione formalmente costituita, in altre parole un soggetto assimilabile a quello sindacale. Ciò comporta, quindi, l’esclusione di eventuali liste elettorali costituitesi in ragione di un dissenso che si manifesti al di fuori di un’organizzazione formale. Si tratta di un punto molto delicato, derivato direttamente dall’intesa unitaria del 1991, che ha l’evidente scopo di evitare la formazione di liste “di comodo” o di disturbo, presentate per condizionare il risultato elettorale. Secondo alcuni questa regola rappresenta un limite nella democrazia sindacale e dal punto di vista normativo – giuridico è stato anche considerato in contrasto con il principio di libertà sindacale stabilito dall’articolo 39 della Costituzione.

L’accordo riprende molti degli aspetti già ricordati dell’intesa unitaria del 1991, in particolare per quanto riguarda il rapporto tra rappresentanti eletti e nominati dalle organizzazioni sindacali (due terzi eletti dai lavoratori e un terzo nominato dalle organizzazioni sindacali in proporzione ai voti raccolti). Le novità rispetto all’intesa del 1991 e alle ipotesi procedenti riguardano la durata della carica delle Rsu, che è fissata in tre anni, al cui termine è prevista la decadenza automatica, e la clausola che vincola le organizzazioni che partecipano alla procedura di elezioni delle Rsu a non nominare le Rsa previste dall’art. 19 della legge 300/70, ancora in vigore. L’accordo stabilisce che le Rsu subentrano alle Rsa per quanto riguarda i compiti e le funzioni previste dalla legge e riconosce la loro competenza a stipulare contratti aziendali con le procedure e norme stabilite dai contratti nazionali di lavoro. In tal senso, la legittimità negoziale deriva dal sistema di contrattazione cui le Rsu partecipano alla pari con le strutture sindacali territoriali.

Infine l’accordo riporta anche una dettagliata procedura e un regolamento elettorale che danno esigibilità e certezza alla verifica periodica della rappresentanza sindacale.

Questa forma di rappresentanza democratica nei luoghi di lavoro si colloca come un elemento di rottura rispetto alla precedente esperienza dei consigli di fabbrica. Un fattore di discontinuità è rappresentato dal metodo elettivo di questa rappresentanza, che l’avvicina per molti aspetti a quello delle commissioni interne. Alle elezioni delle Rsu possono partecipare tutte le organizzazioni sindacali che hanno i requisiti, che lo decidano e che rinuncino alla costituzione delle Rsa.

L’accordo ha rappresentato un sicuro puntello alla democrazia sindacale, consentendo il generale rinnovo delle rappresentanze sindacali in quasi tutte le categorie di lavoratori; infatti, l’accordo prevede la possibilità di avviare la procedura per la costituzione delle Rsu, “congiuntamente o disgiuntamente[7], da parte delle organizzazioni sindacali firmatarie del Protocollo del 23 luglio 1993 o firmatarie dei Contratti nazionali di lavoro applicati, ma anche associazioni sindacali che accettano formalmente l’accordo interconfederale del 20 dicembre 1993 e presentano un elenco di firme pari al 5% dei dipendenti dell’unità produttiva interessata.

Com’è stato già detto, per alcuni aspetti la Rsu presenta alcune similitudini con la commissione interna. Ci sono sicure analogie per la complessa procedura elettorale, rigidamente cadenzata nei tempi, nelle regole di svolgimento delle elezioni e nelle garanzie democratiche. Le elezioni avvengono su lista di organizzazione, ma anche la denominazione – Rappresentanza sindacale unitaria – la qualifica come organismo unico di rappresentanza, non dipendente dalle organizzazioni che hanno costituito le liste elettorali. Elementi di grande diversità sono invece i poteri contrattuali, non concessi alle commissioni interne, e la quota di un terzo nominato dalle organizzazioni sindacali, che può essere considerato una specie di garanzia di rappresentanza per le organizzazioni sindacali confederali e per le imprese, istituita dalle parti sociali allo scopo di esercitare un minimo di controllo sulla composizione e sull’operato della Rsu. In altri termini è la quota di un terzo nominato dalle organizzazioni sindacali che garantisce il raccordo tra la Rsu e le strutture sindacali esterne nella contrattazione decentrata. Com’è noto, questo aspetto della composizione della Rsu ha destato molte discussioni e una parte dei giuslavoristi lo ritiene contraddittorio con i principi costituzionali, proprio perché l’accordo consente un “premio di minoranza” che in molti casi falsa ampiamente il rapporto tra il risultato del voto e la composizione effettiva della Rsu. Pertanto un’eventuale norma legislativa, secondo questa interpretazione, non potrebbe accogliere l’impostazione dell’accordo interconfederale. In tal senso si era pronunciata la “Commissione di studio sulla rappresentatività sindacale” istituita con decreto ministeriale del 28 luglio 1993. In seguito, però, il disegno di legge presentato dal Ministero del lavoro, il 13 gennaio 1994, aveva disatteso questa indicazione e aveva stabilito che la composizione e le competenze della Rsu erano demandate agli accordi interconfederali e alla contrattazione nazionale di categoria, ritenendo quindi assolutamente legittima la quota di un terzo nominata. Si deve aggiungere che Cgil, Cisl e Uil concordarono unitariamente, il 14 aprile 1994, un patto di solidarietà reciproca che riaffermava il valore della quota di un terzo, rifiutando ogni prassi tendente a superarla e al contempo stabiliva nuove modalità di ripartizione della stessa, accantonando il criterio proporzionale stabilito dall’accordo interconfederale e prescrivendo criteri paritetici o di garanzia di presenza per le confederazioni minoritarie. E necessario aggiungere che questa modalità elettorale – due terzi eletto, un terzo nominato – non è stata seguita da tutte le categorie: in seguito le categorie della funzione pubblica e quella delle Poste italiane, azienda ormai di diritto privato (società per azioni), hanno sancito l’elezione delle Rsu con il metodo della proporzione pura[8]. Si deve aggiungere che, nel corso del 2003, anche la Fim Cisl ha avanzato una nuova proposta di modifica delle regole vigenti con cui si prevede l’elezione di tutti i membri della Rsu. In questa proposta il superamento della quota nominata è vincolato all’accettazione di una norma che stabilisce l’obbligo degli eletti di dare le dimissioni da membro della Rsu nel caso di abbandono dell’organizzazione in cui sono stati eletti[9]. In altri termini la Fim propone la pura proporzionalità con la garanzia del congelamento del risultato elettorale per i tre anni in cui la Rsu resta in carica.

A differenza del modello consiliare è difficile ritenere la Rsu come la struttura di base del sindacato. Si può sicuramente considerarla un organismo sindacale, ma la sua legittimità deriva dal voto dei lavoratori e può avere composizioni molto variegate in termini sindacali, anche con una presenza di sindacati diversi da Cgil, Cisl e Uil, che in alcuni casi possono anche essere minoritarie. Il pluralismo sindacale, che è stato assunto implicitamente da questo organismo, impedisce una immediata identificazione con le strutture sindacali esterne: sono dimensioni diverse che possono anche confliggere tra loro.

Un’altra caratteristica rilevante dell’accordo riguarda la mancata regolazione di alcuni altri aspetti della democrazia sindacale. In particolare, il problema della validazione degli accordi sottoscritti e le regole di gestione interna alle Rsu sono lasciate agli eventuali accordi presi dai sindacati di categoria. Si tratta di una formula pragmatica, ma che lascia spazio a soluzioni molto diverse, compreso il fatto di non assumere alcun accordo su questo punto.

Un esempio concreto di tali accordi unitari è stato quello stilato nei metalmeccanici, tra Fim, Fiom e Uilm, il 14 dicembre 1993, che ha sancito alcune regole sulla costituzione e funzionamento delle Rsu, con un patto di solidarietà che ha stabilito delle garanzie per le organizzazioni sindacali più piccole per quanto riguarda la quota di un terzo di Rsu nominate (in pratica è stato abbandonato il criterio della rigida proporzionalità).

Come ha dimostrato l’esperienza concreta il patto unitario tra Fim, Fiom e Uilm ha retto fino al momento in cui i rapporti tra le tre organizzazioni sono stati relativamente vincolati dal patto di unità d’azione; in seguito, dopo la rottura generata dagli accordi separati sui rinnovi contrattuali, le regole di democrazia previste dall’accordo unitario sono rimaste spesso inattuate.

Le elezioni della Rsu alla Fiat Mirafiori

Nel 2009 si sono tenute le ultime elezioni delle Rsu a cui hanno partecipato tutte le organizzazioni sindacali, mentre nelle ultime elezioni, tenute nel 2012, la Fiom è stata esclusa per effetto delle nuove regole imposte dalla Fiat.

Un po’ di storia

Dopo la sconfitta alla Fiat nel 1980 le tensioni all’interno della Federazione unitaria, che raggruppava Cgil, Cisl e Uil, divennero sempre più evidenti e, nei fatti, impedivano il rinnovo delle rappresentanze sindacali. Dopo la rottura della Federazione unitaria del 1984, la prima verifica elettorale fu fatta ne novembre del 1985 alla Meccanica di Mirafiori. L’elezione avvenne sulla base di un patto tra Fim, Fiom e Uilm che comprendeva delle regole nuove rispetto al passato. I collegi elettorali erano aree molto grandi e i lavoratori potevano esprimere 1 o 2 preferenze a seconda le dimensioni del collegio. I candidati si presentavano con liste collegate all’organizzazione di appartenenza, anche se vi era ancora la possibilità di aggiungere nella scheda dei nomi non appartenenti alle liste dei candidati ufficiali. Solo 2/3 dei rappresentanti erano eletti il restante 1/3 veniva suddiviso pariteticamente tra le tre organizzazioni sindacali, quindi il risultato finale della rappresentanza era corretto con una sorta di premio di minoranza. Complessivamente la nuova rappresentanza doveva essere costituita da 75 membri. In quella tornata elettorale la partecipazione dei lavoratori fu altissima: su 3.625 lavoratori in forza, parteciparono al voto 3.203 (88,4%) e i voti validi sono stati 3.012 pari al 94%.

Tabella – Le elezioni alla Meccanica di Mirafiori del 1985

Fim
Fiom
Uilm
voti
delegati
voti
delegati
voti
delegati
14,5%
17%
71,8%
67%
12,6%
14%

I dati dimostrano che alla prima seria verifica elettorale la Fiom-Cgil portò a casa una adesione plebiscitaria: in parte era un dato scontato per la grande forza che la Fiom manteneva in questo settore della Mirafiori, tuttavia era un successo superiore alle aspettative, nei fatti, determinò un sostanziale blocco di nuove iniziative elettorali negli altri stabilimenti Fiat.

Con queste premesse solamente nel febbraio del 1988 Fim, Fiom e Uilm concordarono una nuova elezioni dei rappresentanti sindacali nello stabilimento della Mirafiori Carrozzeria. Si trattava di una prova elettorale più impegnativa di quella precedente, per il numero dei lavoratori coinvolti e per l’aspetto simbolico che rivestivano le Carrozzerie. I lavoratori in forza erano 10.321 operai e 1.208 impiegati: i votanti furono il 90,7% tra gli operai e il 55% tra gli impiegati. Il risultato tra gli operai fu quello illustrato dalla tabella n. 3.

Tabella – Le elezioni della Mirafiori Carrozzeria del febbraio 1988

Fim
Fiom
Uilm
voti
%
voti
%
voti
%
1.490
16,5%
4.591
49,5%
3.610
34%

Tra gli impiegati, invece, si aprì un contenzioso tra le organizzazioni sindacali poiché la percentuale dei votanti era inferiore al minimo richiesto dal regolamento (66%), perciò lo spoglio non fu effettuato e la rappresentanza degli impiegati non fu eletta, tra le reciproche recriminazioni dei sindacati.

Questo risultato elettorale era molto diverso da quello della meccanica, ma anche in questo caso si riconfermava l’insediamento storico dei sindacati in Carrozzeria, in particolare la presenza di un forte nucleo della Uilm, che raccoglieva un terzo dei voti, la Fiom rappresentava il 50%, mentre la Fim arrivava ultima con un notevole distacco dalle altre organizzazioni.

Si deve considerare che alle elezioni degli anni 80 avevano partecipato solamente Fim, Fiom e Uilm mentre il Fismic si era astenuto dal presentarsi alle elezioni.

I contrasti tra le organizzazioni sindacali portarono al sostanziale blocco di ogni iniziativa elettorale fino al 1994.

La costituzione delle Rsu negli anni novanta

Il Protocollo del 23 luglio 1993 sancisce finalmente un sistema di rappresentanza dei lavoratori, la Rappresentanza sindacale unitaria (Rsu). Il successivo accordo interconfederale trasforma questa intesa di massima in un regolamento preciso, concordato con il sistema delle imprese, che prevede elezioni periodiche triennali, indipendenti dalla volontà delle singole organizzazioni. Si tratta di un passo avanti importantissimo, che afferma un metodo di democrazia sindacale, nonostante alcuni limiti ancora presenti.

I dati riportati nella tabella che segue forniscono un quadro decennale dell’andamento elettorale dei sindacati nei principali stabilimenti Fiat di Torino, consentendo alcuni giudizi sulle tendenze in atto. I giudizi devono tener comunque conto che in questi 10 anni i processi di ristrutturazione e di outsourcing hanno cambiato fortemente il numero e la composizione della forza lavoro. In ogni modo la partecipazione dei lavoratori al voto è sempre stata superiore al 70%, confermando l’importanza che rivestono queste consultazioni nel rapporto con i lavoratori.

Le elezioni delle Rsu alla Fiat di Torino

Voti raccolti nelle elezioni delle Rsu (dati tratti dal sito della Fiom Piemonte)
FIAT AUTO – COMPRENSORIO MIRAFIORI – RIVALTA
 
1994
1997
2000
2003
FIM
4.766
23,04%
3.120
16,42%
3.025
20,14%
2.504
25,24%
FIOM
11.003
53,18%
6.789
35,74%
4.694
31,25%
3.080
31,04%
UILM
4.921
23,78%
 3.203
16,86%
2.818
18,76%
1.650
16,63%
FISMIC
 
 
3.944
20,76%
3.051
20,31%
1.824
18,38%
UGL
 
 
909
4,79%
785
5,23%
552
5,56%
COBAS
 
 
880
4,63%
633
4,21%
312
3,14%
altri
 
 
151
0,79%
17
0,11%
0
0,00%
TOTALE VOTI
20.690
100%
18.996
100%
15.023
100%
9.922
100%
MIRAFIORI RIVALTA – solo Fim Fiom Uilm
FIM
 4.766
23,04%
 3.120
23,79%
3.025
28,71%
2.504
34,61%
FIOM
 11.003
53,18%
 6.789
51,78%
4.694
44,55%
3.080
42,58%
UILM
 4.921
23,78%
 3.203
24,43%
2.818
26,74%
1.650
22,81%
Totale Fim Fiom Uilm
20.690
100%
13.112
100%
10.537
100%
7.234
100%
% Fim Fiom Uilm sul totale voti
69,03%
 
70,14%
 
72,91%
 

Le prime elezioni delle Rsu alla Fiat si sono tenute nel 1994: a tale prova elettorale erano presenti solamente Fim, Fiom e Uilm, mentre gli altri sindacati hanno preferito non presentarsi ripetendo il comportamento degli anni precedenti. Come si può verificare dalla tabella n. 4, nel comprensorio Mirafiori – Rivalta, la Fiom si attesta al 53% dei voti, mentre Fim e Uilm raggiungono entrambi circa il 23% dei consensi.

La situazione cambia profondamente dalle elezioni successive, sia perché si presentano anche altre organizzazioni sindacali, sia perché si modificano i rapporti tra le diverse organizzazioni sindacali confederali. Nelle elezioni del 1997, la presentazione delle liste da parte delle altre organizzazioni sindacali modifica ampiamente il quadro elettorale, con una frammentazione che determina una consistente riduzione della rappresentanza dei sindacati confederali, ma in particolare penalizza maggiormente la Fiom, che perde progressivamente peso specifico anche nelle elezioni successive.

Nel caso del comprensorio di Mirafiori – Rivalta Fim Fiom Uilm recuperano parzialmente il loro peso specifico passando dal 69% del 1997 al 73% dei voti nel 2003. In questo caso si verifica un consistente decremento del Fismic e dei Cobas, con un travaso di voti dalla Fismic alla Fim, favorito anche dal considerevole passaggio di quadri e iscritti Fismic alla Fim alla vigilia delle elezioni 2003. In ogni modo si ha anche un cambiamento del rispettivo peso specifico dei sindacati confederali, con la Fim che accresce considerevolmente la sua consistenza rappresentativa dal 1997 ad oggi, con un incremento di circa 9 punti percentuali.

In generale si può affermare che nel corso degli anni 90 si è verificata una consistente ridistribuzione del peso specifico di ciascun sindacato all’interno degli stabilimenti Fiat di Torino, come dimostra la tabella (dati ricavati dal sito della Fiom Piemonte).

Le elezioni successive

Le elezioni del 2006 a Mirafiori avvengono come al solito in un clima di accesa competizione tra le organizzazioni sindacali. Come nelle elezioni precedenti la partecipazione al voto è stata elevata (78%), la percentuale di dispersione del voto (bianche e nulle) molto contenuta (2%), confermando l’attenzione e l’interesse dei lavoratori a questo appuntamento.

Nelle dichiarazioni stampa la Fim-Cisl ha rivendicato di essere ormai il primo sindacato, in termini di voti raccolti, sostenendo di aver strappato la supremazia alla Fiom-Cgil. La Fiom da parte sua ha ammesso l’arretramento elettorale, ma ha negato di aver perso la supremazia dei consensi. La stessa certezza dei risultati è messa in discussione dal fatto che ogni organizzazione sindacale ha prodotto dei dati elettorali diversi, anche sfruttando la frammentazione dei dipendenti nelle diverse aziende collocate sul sito di Mirafiori.

Si deve anche aggiungere che le polemiche e la discussione sono durate poco e non sembrano aver prodotto un approfondimento adeguato da parte delle organizzazioni sindacali. Per molti motivi la Fiat e in particolare Mirafiori non sollevano più l’interesse del passato da parte delle organizzazioni sindacali, ma anche da parte degli studiosi dei fenomeni sociali. In parte ciò è dovuto all’evidente declino produttivo e occupazionale dello stabilimento. Gli oltre 60.000 addetti degli anni settanta sono un lontano ricordo: le grandi ristrutturazioni degli anni ottanta e novanta hanno seriamente ridimensionato organici e volumi produttivi e la crisi della Fiat del 2002 ha fatto temere per l’avvenire dell’insieme dello stabilimento. La riduzione dimensionale ha chiaramente influito nel ridimensionare l’importanza dello stabilimento per i sindacati, anche se i segretari generali di Cgil, Cisl e Uil siano andati a Mirafiori alla fine del 2006 a tenere le assemblee sulla finanziaria ai circa 15.000 lavoratori rimasti.

Come altre volte in passato, un gruppo di Rsu cambia organizzazione sindacale e si presenta con un’altra sigla: in questo caso una parte di delegati della Uilm passa al Fismic, determinando, come si può vedere dalle tabelle, un considerevole spostamento di voti.

La ripetizione di questi fenomeni di attenuazione dell’appartenenza organizzativa, per cui i dissensi interni si tramutano sempre più facilmente in un cambio di organizzazione, sono una chiave importante per leggere i risultati elettorali. Nelle situazioni come Mirafiori, dove i sindacati sono tra loro fortemente competitivi e hanno un radicamento organizzativo debole, sembra che i singoli rappresentanti sindacali rivestano molta importanza nel determinare l’esito del voto, un peso spesso maggiore delle linee politiche dichiarate dalle organizzazioni sindacali. Vale a dire che il risultato del voto è soprattutto un giudizio sulle singole persone, la loro capacità di rispondere alle domande di tutela da parte dei lavoratori, piuttosto che un giudizio sulle organizzazioni sindacali. In altre parole risultano vincenti le organizzazioni che riescono a governare senza rotture i conflitti interni, a migliorare con la formazione le capacità dei propri quadri di fabbrica, a selezionare liste di candidature articolate come composizione sociale e politica. Ovviamente non tutto si risolve con le politiche organizzative, è necessaria una capacità di elaborazione delle proposte rivendicative adeguata ai cambiamenti della fabbrica, ma le politiche organizzative sembrano sempre più determinanti nelle competizioni elettorali e per garantirsi la sufficiente rappresentatività necessaria a dare le gambe alle elaborazioni politiche.

In ogni caso i risultati elettorali del 2006, illustrati nella tabella, riguardano i principali reparti di produzione di Fiat Auto a Mirafiori, desunti dai verbali elettorali. Questi dati confermano le tendenze già evidenziate nelle elezioni degli anni precedenti, con una redistribuzione dei consensi elettorali che penalizzano in particolare la Fiom e la Uilm, mentre il Fismic guadagna, anche per effetto dei “travasi” organizzativi dalla Uilm.

I risultati delle elezioni di Mirafiori nel 2006[10]

 
costr. sperim.
costr. stampi
presse
carrozzeria
meccanica
sospensioni
totali 2006
2003
Fim
143
40,4%
82
34,3%
180
31,3%
1.192
26,7%
220
17,9%
29
20,4%
1.846
26,3%
26,3%
Fiom
56
15,8%
121
50,6%
116
20,1%
1.055
23,6%
332
26,9%
42
29,6%
1.722
24,6%
30,6%
Uilm
37
10,5%
13
5,4%
62
10,8%
640
14,3%
192
15,6%
17
12,0%
961
13,7%
16,0%
Fismic
118
33,3%
23
9,6%
161
28,0%
897
20,1%
418
33,9%
50
35,2%
1.667
23,8%
19,0%
Ugl
 
0,0%
 
 
15
2,6%
442
9,9%
13
1,1%
 
0,0%
470
6,7%
5,1%
Cobas
 
0,0%
 
 
42
7,3%
245
5,5%
57
4,6%
4
2,8%
348
5,0%
3,1%
v. validi
354
100%
239
100%
576
100%
4.471
100%
1.232
100%
142
100%
7.014
100%
100%

Anche le organizzazioni minori, Ugl e Cobas, migliorano le loro posizioni. La Fim sembrerebbe essere il primo sindacato, anche se ha riconfermato il risultato delle elezioni precedenti. Tuttavia se si considerano i risultati elettorali delle altre aziende, che operano nel sito di Mirafiori, il risultato finale cambia leggermente. Infatti, sta proprio nelle modalità con cui vengono aggregati i dati che ciascuna organizzazione sindacale può dimostrare che ha avuto un risultato migliore e meno peggiore di quanto dicono le altre organizzazioni. Le ristrutturazioni aziendali e la continua scomposizione e ricomposizione delle società che operano negli stabilimenti Fiat consentono questo gioco delle “tre carte” e rendono difficile il confronto puntuale con i risultati precedenti.

Al riguardo si possono citare i risultati delle elezioni del 2005, che riguardavano una serie di attività di servizio di Fiat Auto, che solamente in parte sono situate nello stabilimento di Mirafiori. E’ evidente che se ai risultati del 2006 si aggiungono alcune o tutte le aziende indicate, si modifica il risultato finale e la Fiom, che è più forte in queste aziende, torna a essere il primo sindacato con il 25,3% dei voti, ma si ferma molto al di sotto del valore del 2003.

I risultati delle elezioni nel 2005

 
Part & Services
Sirio Mirafiori
Strutture Centrali
TNT
totali 2005
Fim
70
25,5%
18
7,1%
344
13,2%
112
11,5%
        544
13,2%
Fiom
153
55,8%
98
38,4%
461
17,6%
388
39,7%
      1.100
26,7%
Uilm
3
1,1%
88
34,5%
230
8,8%
260
26,6%
        581
14,1%
Fismic
48
17,5%
34
13,3%
324
12,4%
110
11,2%
        516
12,5%
Ugl
 
 
1
0,4%
26
1,0%
57
5,8%
          84
2,0%
Cobas
 
 
16
6,3%
 
 
37
3,8%
          53
1,3%
Ass. Quadri
 
 
 
 
1228
47,0%
14
1,4%
      1.242
30,1%
voti validi
274
100%
255
100%
2613
100%
978
100%
      4.120
100%

Nella tabella è da mettere in evidenza l’affermazione della Associazione Quadri che, nelle strutture centrali di Fiat Auto (costituite essenzialmente da impiegati), raccoglie quasi la metà dei consensi dei lavoratori.

Le elezioni del 2009 segnano un ulteriore declino del sindacalismo confederale, poiché solamente i sindacati autonomi registrano significativi incrementi di voti. I voti sommati di Fim, Fiom e Uilm raggiungono il 54,8% del totale dei voti: un risultato molto inferiore a quello raggiunto pochi anni prima.

Elezioni 2009

 
Costruzioni sperimentali
Presse
Carrozzeria
Costruzioni stampi
Fpt Meccanica
Totale
Fim
131
38,53%
143
26,68%
1097
25,51%
61
29,47%
176
13,85%
1608
24,16%
Fiom
43
12,65%
149
27,80%
954
22,18%
129
62,3%
356
28,01%
1631
24,51%
Uilm
53
15,59%
43
8,02%
565
13,14%
 
 
199
15,66%
860
12,92%
Fismic
107
31,47%
146
27,24%
818
19,02%
17
8,21%
394
31,00%
1482
22,27%
Ugl
6
 
4
0,75%
563
13,09%
 
 
7
0,55%
580
8,72%
Cobas
 
 
51
9,51%
304
7,07%
 
 
139
10,94%
494
7,42%

In definitiva questi dati confermano una tendenza di lungo periodo ormai in atto dalla metà degli anni novanta. Un forte cambiamento dei pesi specifici di ciascun sindacato. Non può essere considerata, quindi, una crisi legata ad aspetti congiunturali o all’evoluzione della crisi economica attraversata da Fiat Auto, si tratta, invece, di aspetti insiti nel modo di essere dei sindacati, nel modo con cui interpretano i cambiamenti in atto nella Fiat e come, direttamente o indirettamente, selezionano i quadri sindacali.


[1] Corte Costituzionale – Sentenza n. 30 del 1990.

[2] Punto IV, lettera G) dell’accordo intersindacale del 1° marzo 1991.

[3] Punto IV, lettera n) della citata intesa unitaria del 1991.

[4] I disegni di legge presero il nome dei principali presentatori: 1) Giugni e Fabbri; 2) Magri e Calderoli; 3) Ghezzi e Bassolino; 4) Garavini e Magri.

[5] Lettera e) del capitolo “Rappresentanze sindacali” del Protocollo del 23/7/1993.

[6] Punto 4, parte seconda dell’accordo interconfederale del 20 dicembre 1993.

[7] Punto 1, Parte Prima, dell’accordo interconfederale del 20 dicembre 1993.

[8] La funzione pubblica con l’accordo quadro del pubblico impiego del 1998 e i postali con il protocollo del 16 settembre 2003.

[9] Salvatore Biondo – Relazione al seminario della Fim Cisl del Centro-Sud dell’8 ottobre 2003, da “Lettera Fim” n. 5/6 di settembre/dicembre 2003.

[10] I dati del 2003 sono i dati Fiom pubblicati dopo le elezioni e riferiti agli stessi reparti indicati in tabella.

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