La contrattazione dopo l’ottobre 1980

Commento di Cesare Cosi

Con la sconfitta dell’ottobre 1980 i più pessimisti tra di noi pensavano di perdere tutto e di ripiombare in situazioni di arbitrio padronale antecedenti l’autunno caldo.

Tra i tanti segnali che ricevevamo, uno in particolare ci aveva stupito e preoccupato dato che proveniva dal nuovo responsabile del Servizio lavoro di corso Marconi che nel 1981, durante una discussione all’Unione industriale sull’ipotesi di sperimentare alla FIAT i gruppi integrati di produzione, esaminando una concreta proposta della Meccanica affermò che  “..il concetto di bilanciamento e le conseguenti regole stabilite, erano frutto non di una corretta interpretazione dell’accordo 1971 ma << acquisizione per usucapione >> e tollerate in quella sola realtà, anche se importante come la Meccanica”.

A questa affermazione, che dati i tempi poteva preludere ad attacchi radicali, ha corrisposto invece un comportamento diverso, più articolato.

I principali fatti sono stati i seguenti. Nei primi anni 80, pur all’interno di una rigida centralizzazione del comando e delle decisioni anche su questi temi, le differenze di comportamento a livello di stabilimento esistevano ed erano largamente riconducibili al bagaglio di esperienze che delegati, tecnici e gestori si erano fatti nel corso degli anni 70.

Dove la contrattazione aveva stabilito un sistema di regole utile alla soluzione dei problemi, questo è stato mantenuto non in ragione dei soli rapporti di forza che venivano meno ovunque, ma alla consapevolezza di RSA, tecnici e gestori di molti stabilimenti, che gli equilibri trovati in anni di lotte e di contrattazione erano non solo utili ma indispensabili.

La volontà di modificare il sistema di regole esistente era manifesto all’interno del gruppo dirigente FIAT, ma questo avrebbe significato disdire l’accordo 5/8/1971, proporre un nuovo accordo ed affrontarne le conseguenze.

Dove la contrattazione NON aveva prodotto cose utili, l’esigenza aziendale di definire  sistemi di regole, anche unilateralmente definite, era presente per esigenze di varia natura.

La prima era quella di evitare il ritorno all’arbitrio della gerarchia, gli errori del passato non dovevano essere ripetuti e la centralità del comando doveva consolidarsi tramite la direzione di Gruppo e di stabilimento con un ruolo sempre maggiore del Servizio personale. In sostanza non si trattava altro che dell’applicazione piena del modello fordista dove i compiti di ognuno dovevano essere delimitati e operanti all’interno di un piano elaborato e gestito centralmente.

A riprova di tutto questo basta citare esempi concreti, quali quelli riferiti al contenimento di grezzi tentativi della gerarchia d’officina, che certa che il passato potesse ritornare, tentava di riassumere atteggiamenti e comportamenti del passato. Più volte a fronte di questi fatti era la stessa azienda che interveniva tramite il Servizio personale (Repo – Responsabile del personale a livello d’officina) stigmatizzando il comportamento repressivo dei capi in presenza sia del Capo officina che dei delegati. In sostanza il messaggio era questo: – la repressione e il recupero pieno del potere della scala gerarchica ci sarà ma saremo noi ad attivarla scegliendo sia i tempi che i modi – tu gerarchia ti devi attenere alle direttive e non prendere iniziative non decise dall’alto.

Questi comportamenti, impensabili pochi mesi addietro, testimoniano del tentativo aziendale di conquistare egemonia politica e culturale in fabbrica e fuori, e, sulla prestazione di lavoro, favorire il consolidarsi di un unico modello credibile e proponibile che non fosse più gravato dalla incompiutezza, dal pressappochismo e dalla sostanziale non applicazione degli anni 60-70 in molte realtà.

Per rispondere a queste esigenze i comportamenti del gruppo dirigente FIAT cambiano. 

Le esigenze di controllo centrale del modello sulla prestazione di lavoro, la gestione decentrata coerente, l’uso dell’informatica, il nuovo peso che i diritti di informazione e trasparenza venivano gradatamente acquisendo, la gestione dei nuovi prodotti e delle nuove tecnologie, l’esigenza di dotarsi di metodi dignitosi di convincimento delle nuove generazioni sia in officina che negli uffici, che non confluissero più in un percorso autoritario e repressivo datato e improponibile, sono ulteriori specificazioni di un insieme di motivazioni che sarebbe lungo analizzare e certificare, ma che a me sembrano oggettive.

Se  collochiamo poi il nuovo peso che la prestazione di lavoro variamente intesa, aveva ed ha in un contesto tecnologico e organizzativo fortemente innovato, a me sembra  che il soddisfacimento di queste esigenze siano state il logico preludio alla radicale modifica teoretica che ha portato l’azienda a dichiarare, che il lavoratore non doveva più essere “SUBORDINATO” quindi – organizzato, disciplinato, controllato e con il DOVERE di lavorare e produrre – ma doveva diventare “CLIENTE” quindi – capito, orientato, motivato affinché GRADISCA lavorare e sia quindi produttivo. Sul superamento o meno del concetto di subordinazione alla FIAT non spendo parole.

Dato che i saperi strutturati non si inventano e l’esperienza consolidata è la vera ricchezza professionale di tutti ma soprattutto dei tecnici e dei gestori, l’impostazione data alla Meccanica sui carichi di lavoro, e sulle linee in particolare, viene assunta e l’approccio passa dalla negazione totale alla modifica graduale, fatta di piccoli passi, per svuotare quel sistema di regole dei punti più qualificanti.

In sostanza iniziava un lungo percorso che con “piccoli passi” avrebbe portato all’azzeramento dell’accordo 71 ed a modifiche radicali di molti principi della cronotecnica stessa. Le tappe di questo percorso sono gli accordi, che saranno analizzati nel dettaglio, che l’azienda ha imposto cogliendo tutti momenti di difficoltà che i lavoratori nelle varie realtà territoriali ed i sindacati si trovavano ad affrontare. … Se volete le assunzioni, i nuovi modelli, l’ampliamento dei volumi, il mantenimento del sito, la nuova fabbrica, ecc.  bisogna firmare questo e quello.

Questa azione di modifica graduale non investe la Meccanica perché il grado di attenzione sindacale è troppo alto, ed anche per evitare che le loro azioni assumessero una risonanza torinese e nazionale.

Viene però attuata in altri stabilimenti terminali ed in settori importanti dell’indotto, abbinata all’inserimento del TMC, all’informatizzazione dei carichi di lavoro e dei bilanciamenti, a limitate e parziali concessioni sulle certificazioni e trasparenza del modello,  a timide riaperture di confronti di merito sui problemi esistenti.

Questa azione strisciante di graduale tentativo di modifica dell’Accordo 71 si è sviluppata nel corso degli anni ’80, per raggiungere il suo culmine nel 1993 dove con l’accordo per la SATA-FMA l’azienda è uscita allo scoperto ed ha concentrato in quell’accordo la totalità delle elaborazioni e dei – desiderata – covati per anni e attuati qua e la nei vari stabilimenti.

Oggi quel modello è paradigma per l’Isvor e per tutti gli stabilimenti del Gruppo non solo in Italia ma nel mondo. Non è applicato unicamente in quelle realtà che resistono o per consapevole convincimento politico o perché non sono ancora incappate nel ricatto occupazionale o di sopravvivenza del sito produttivo.  

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