introduzione

Prima espansione della Mirafiori. La fine dei governi di unità nazionale. La repressione vallettiana. La rottura della Cisl

Il 1948 è un anno di svolta per la Fiat che ritorna ad avere un significativo utile di bilancio dopo 5 anni di perdite e inizia un processo di sviluppo che durerà, con poche interruzioni, quasi vent’anni; ma è anche un anno di svolta nella situazione politica e sindacale: infatti, iniziano a incrinarsi i rapporti di collaborazione tra azienda e C.I.. Già all’inizio dell’anno i rapporti tra la Direzione e le C.I. ebbero dei momenti di tensione per l’interpretazione che la Fiat dava sul ruolo della C.I., in applicazione dell’accordo interconfederale del 1947. In particolare la Fiat chiedeva di limitare i movimenti dei collettori delle tessere sindacali che costituivano l’organizzazione portante del sindacato in fabbrica; infatti, i collettori, oltre a essere coloro che raccoglievano i contributi dei tesserati e rilasciavano i “bollini” da incollare sulle tessere, erano la rete di militanti che diffondevano le indicazioni e le parole d’ordine sindacali; contemporaneamente raccoglievano e riportavano alla C.I. le opinioni diffuse e i problemi posti dai lavoratori, quindi la conoscenza dei fatti minuti della fabbrica.

Lavoro al maglio

La fine dell’unità nazionale e la rottura del sindacato

La sconfitta elettorale del Fronte Popolare, formato da Pci e Psi, e la vittoria della Democrazia Cristiana del 18 aprile 1948 sancì il mutamento politico nel paese, costituendo la base della successiva scissione sindacale. L’attentato al segretario del Pci, Palmiro Togliatti, il 14 luglio 1948, ha come reazione l’occupazione della Fiat per 46 ore da parte dei militanti di sinistra, con lo strascico della denuncia presentata da Edoardo Arrighi, rappresentante della corrente sindacale cristiana nella C.I., per sequestro di persona. I fatti connessi con l’attentato a Togliatti fornirono anche l’occasione per la rottura definitiva dell’esperienza della Cgil unitaria e la costituzione di due nuove organizzazioni sindacali, che poi avrebbero assunto le denominazioni di Cisl e Uil. Il mutamento della situazione politica, dopo le elezioni del 18 aprile 1948, produce un diverso atteggiamento della Fiat, che inizia a presentare delle proprie proposte soprattutto sul tema del rafforzamento della “disciplina aziendale”.

Il 25 giugno 1948 fu anche firmato il primo Contratto nazionale di lavoro dei metalmeccanici della Repubblica. All’accordo si giunse dopo una trattativa lunghissima durata un anno e mezzo con circa 200 sessioni di confronto; nonostante questo il Contratto non era completo in tutte le sue parti; infatti, erano previsti ulteriori momenti di confronto; in realtà il completamento definitivo sarebbe stato realizzato solamente nel 1956.

La repressione vallettiana

Gli anni cinquanta si aprono in un clima del tutto diverso rispetto all’immediato dopoguerra. La Fiat intende riconquistare la piena sovranità nel governo della forza lavoro, ristabilendo la disciplina aziendale. Dal punto di vista pratico le prime restrizioni furono applicate dopo un misterioso episodio, il 5 agosto 1950, quando un’esplosione fece saltare tre capannoni di Mirafiori. I capannoni erano in ristrutturazione, non contenevano impianti, ma morirono tre operai e 19 rimasero feriti. L’episodio rimase misterioso: non fu mai fornita una spiegazione adeguata, mentre nelle parole dei quadri sindacali dell’epoca, si intuisce il sospetto della provocazione organizzata; nei fatti, iniziarono a circolare voci che stabilivano una connessione tra l’esplosione e le lotte sindacali in corso. La Fiat approfittò dell’occasione per stabilire una serie di controlli sui movimenti dei lavoratori all’interno degli stabilimenti, in particolare sui lavoratori che si recavano nella sede della C.I..

La polemica interna ai sindacati emerge nella campagna della Cgil contro il “supersfruttamento”, che avrà al suo centro un convegno tenuto a Torino nell’aprile del 1951. L’obiettivo principale del convegno era di rispondere alla linea della Cisl che aveva proposto un modello di relazioni industriali basato sulla cogestione e sulla contrattazione economica aziendale legata agli incrementi di produttività delle aziende, quindi come terreno di collaborazione produttivistica. La linea della Cisl puntava al superamento della contrattazione centralizzata e aveva il pregio di valorizzare l’esperienza delle C.I. che avevano praticato la contrattazione dei cottimi e dei premi di produzione nelle aziende.

Nel corso del 1952 un altro grave episodio: l’ing. Erio Codecà, direttore Fiat, viene ucciso con alcuni colpi di pistola sotto casa. Il caso rimarrà insoluto, ma la Fiat e la Questura sostengono la tesi del delitto politico cercando di imputare la responsabilità al Pci e alla Fiom, anche utilizzando una misteriosa scritta apparsa alla Fiat Grandi Motori: “E uno!”. Questo omicidio, di cui non fu mai individuato il colpevole, ma che difficilmente poteva essere ricondotto a motivi politici, venne sfruttato dalla Fiat per incrementare i licenziamenti di attivisti e militanti sindacali, ma anche di lavoratori con ridotte capacità lavorative (inidonei e inabili). Nel 1952 i licenziamenti “politici” saranno 35, l’anno successivo 55; a ciò si devono aggiungere le azioni sistematiche di discriminazione, trasferimento e declassamento professionale. Nello stesso periodo, alla fine del 1952, la Fiat creerà i reparti confino dove vengono concentrati e isolati molti militanti della Fiom, del Pci e del Psi; tra questi l’Officina Sussidiaria Ricambi (O.S.R.), ribattezzata “Officina Stella Rossa”: sarà chiusa nel 1957 con il licenziamento dei lavoratori in organico. Complessivamente dal 1948 al 1955 la Fiom ha contato, negli stabilimenti Fiat, 198 licenziamenti di membri di C.I. e attivisti sindacali.

Il 1953 fu l’anno della battaglia sulla cosiddetta “legge-truffa”[1] contro la quale la Fiom dichiarò da sola lo sciopero generale il 30 marzo: alla Fiat la partecipazione fu molto bassa, incoraggiando l’azienda nella sua politica di repressione e di licenziamenti.

La sconfitta della Fiom Cgil del 1955

La politica dei licenziamenti e della discriminazione sindacale e le stesse divisioni sindacali avevano preparato la sconfitta alle elezioni di C.I. del marzo 1955, dove la Fiom perde la maggioranza assoluta mantenuta fino a quel momento.

Alle elezioni si era giunti in un clima di acuta divisione e competizione sindacale, con pesanti interventi aziendali nella campagna elettorale, che erano stati anche esplicitamente richiesti dal governo USA. Nei fatti la Fiom non era riuscita a presentare le liste dei candidati in alcune sezioni Fiat; tuttavia le dimensioni della sconfitta sono inattese e determinano uno sbandamento notevole tra le fila della Fiom. Nelle valutazioni della Cgil e della Fiom, però, le cause della sconfitta non furono imputate solamente alle politiche antisindacali della Fiat, ma furono denunciati anche gli errori di strategia sindacale che avevano favorito la sconfitta stessa. L’autocritica che la Cgil e la Fiom fecero sulla sconfitta del 1955 alla Fiat costituirono una base nuova su cui rinnovare profondamente la politica rivendicativa, superando le concezioni basate sulla rigida centralizzazione confederale e sulla marginalizzazione della contrattazione aziendale: la capacità di ricerca e di elaborazione sui cambiamenti intervenuti nell’organizzazione produttiva evitò la chiusura in una battaglia di pura resistenza, costituendo i presupposti per la ripresa sindacale degli anni successivi.


[1] Una legge proposta dalla Democrazia Cristiana e approvata il 10 gennaio 1953, che assegnava un premio di maggioranza alla coalizione che raggiungeva il 50% + 1 dei voti: com’è noto il risultato delle elezioni politiche del 7 giugno 1953 non consentì, per una stretta misura (57.000 voti) alla coalizione guidata dalla D.C. di percepire il “premio” segnando la sconfitta della stessa legge.

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