Commento all’accordo del 18 luglio 1955

Dopo la sconfitta nelle elezioni della C.I., l’occasione per l’esclusione della Fiom si realizza con la successiva trattativa sulla comunicazione e modifica dei tempi di lavoro, che si concluderà con un accordo “separato” il 18 luglio 1955. La trattativa era una diretta conseguenza dell’accordo precedente, ma nelle conclusioni furono stabilite delle normative giudicate negativamente dalla Fiom. I punti più controversi erano le modalità di comunicazione dei tempi di lavoro, in particolare il fatto che i cartellini di lavorazione con i tempi erano nelle mani del caposquadra e l’operaio poteva richiedere di visionarlo; inoltre in caso di contenzioso la procedura prevedeva che l’operaio si rivolgesse prima al capo, poi, con richiesta scritta tramite il capo, all’Ufficio Analisi Lavoro e infine se non fosse stato ancora soddisfatto alla C.I.. La procedura di reclamo concordata e l’insieme delle regole stabilite nell’accordo erano molto sofisticate, segno evidente che erano il frutto di una specifica elaborazione, tuttavia non portarono agli sperati benefici, perché il contesto organizzativo di quel momento non consentiva l’effettiva applicazione di quelle regole. In particolare la procedura di reclamo si poteva considerare un’evoluzione di quella stabilita nell’accordo del 1946 sul premio di produttività, ma era completamente cambiato il ruolo della gerarchia aziendale e dei capisquadra, che nel 1946 erano capi perché riconosciuti professionalmente più capaci e in ogni modo vincolati da forti legami di solidarietà con gli altri lavoratori; mentre nel 1955 la gerarchia era selezionata su criteri di lealtà aziendale, quindi erano i “fedeli” e i “guardiani” della disciplina aziendale. Il risultato pratico di queste regole fu di impedire sostanzialmente qualsiasi contestazione dei tempi di lavoro da parte degli operai; i quali, per far valere le loro ragioni, avrebbero dovuto sfidare individualmente il sistema gerarchico aziendale: questione poco credibile dato il clima di repressione e intimidazione che vigeva nei reparti e l’assenza di una diffusa rete di rappresentanti sindacali a cui ricorrere. A questo si deve aggiungere che i tempi di lavoro indicati nei cicli di lavorazione non erano scomposti negli elementi costitutivi, come i tempi attivi, i fattori di riposo, i fattori fisiologici ecc., cosa che rendeva molto più difficile il controllo da parte dei lavoratori. La Fiom riteneva che questo accordo favorisse la politica del taglio dei tempi di lavoro praticata dall’azienda; tuttavia, comprendendo che si esponeva al rischio dell’isolamento, chiese di firmare l’accordo, anche per rientrare nelle previste trattative sulla regolamentazione delle velocità delle linee; ma la Fiat pretendeva una dichiarazione pubblica che qualificava l’accordo come positivo e favorevole ai lavoratori. In realtà la nuova maggioranza della C.I. consentiva l’esclusione della Fiom dalle trattative e la Fiat poteva praticare questa strada con l’evidente consenso delle altre organizzazioni sindacali; da quel momento in poi tutti gli accordi furono sottoscritti solamente dalla maggioranza della C.I., con l’esclusione sistematica dei componenti Fiom.

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