Ultimi assunzioni alla Fiat. Il “fondo del barile”

Estratto dal libro Il resistente. Raffaello Renzacci 1956-2003, a cura di Diego Giachetti e Franco Ranghino, Roma Alegre edizioni, 2012

Operai per davvero

I giovani militanti trotskisti torinesi, che stavano per essere coinvolti fino in fondo nelle vicende legate alla lotta di classe alla Fiat, fecero la loro prima esperienza di partecipazione collettiva ad una battaglia contrattuale quando si aprì la vertenza per il contratto dei metalmeccanici nel 1975; battaglia che condussero assieme a Lotta Continua sulle parole d’ordine della riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario, 35 ore settimanali, e per un aumento di 50 mila lire uguale per tutti. Era l’inizio, sul piano politico, dell’ avvicinamento dei GCR a Lotta Continua che era cominciato alla fine del 1974 quando segnalarono la svolta positiva di Lotta Continua, che assumeva la richiesta della riduzione dell’orario di lavoro a 35 ore a parità di salario «con argomentazioni simili alle nostre», preludio a una svolta complessiva della più spontaneista tra le organizzazioni della sinistra extraparlamentare.

L’iniziativa contrattuale della FLM e dei consigli di fabbrica alla Fiat si sviluppò nella lotta sull’inquadramento unico e l’organizzazione del lavoro, con le prime esperienze di ricomposizione delle mansioni e i problemi ambientali. Nel maggio del 1976 si giunse alla firma dell’accordo che prevedeva 24 mila lire di aumento mensile, mezz’ora di riduzione d’orario per i turnisti e le 39 ore settimanali per la siderurgia.

A partire da 1976 la Fiat riprese ad assumere negli stabilimenti torinesi. Le assunzioni proseguirono nel 1977 e 1978. Inquel triennio furono assunti negli stabilimenti torinesi circa 15 mila persone, esse portarono in fabbrica una nuova esperienza generazionale: «la maggior parte di questi operai aveva un’età compresa fra i 18 e i 25 anni e una scolarizzazione decisamente elevata e aveva realizzato la propria iniziazione politica nell’ambito dell’esperienza radicale dei movimenti giovanili di rivolta».

Erano quelli che Adalberto Minucci, della segreteria del PCI, con un’espressione infelice, ma destinata a diventare categoria storica e sociologica, definì «il fondo del barile» in un’intervista rilasciata a Lietta Tornabuoni a «La Stampa» del 13 ottobre 1979 nella quale diceva: «dal 1973 la Fiat non sostituiva più gli operai che andavano in pensione o si licenziavano. Negli ultimi due anni il turnover è stato riaperto e mi risulta che a Mirafiori siano entrati negli ultimi dodici mesi 12 mila nuovi assunti. Questo ha riportato la fabbrica ad una realtà magmatica, un porto di mare con gente che entra senza avere dimestichezza né a volte attitudine al lavoro e presto se ne va perché non regge. Credo che in quest’ultima ondata a Mirafiori sia entrato un po’ di tutto, dallo studente al disadattato, s’è proprio raschiato il fondo del barile». Un giudizio netto, intransigente che non lasciava molti spazi d’interpretazione e che, certo, coglieva un aspetto importante della questione il mutamento della composizione della forza lavoro alla Fiat e della sua coscienza di classe, come si diceva allora. Tra i nuovi assunti vi erano «molti giovani dell’area della sinistra rivoluzionaria e comunque con posizioni antagoniste e radicali. Il filone operaista che per alcuni anni aveva educato migliaia di giovani torinesi al mito degli operai della Fiat, si tradusse per molti di loro nella corsa all’assunzione in fabbrica».

Quell’andare in Fiat non era dettato dalle motivazioni che avevano mosso le generazioni operaie precedenti: il bisogno di un mestiere altamente qualificato e professionalizzato, oppure la certezza del posto di lavoro sicuro e meglio retribuito che altrove, per i giovani militanti delle organizzazioni della nuova sinistra era un modo per continuare dall’interno il lavoro operaio che già facevano o avevano fatto davanti ai cancelli delle fabbriche, per gli altri era un modo di sbarcare il lunario lavorando, senza che il lavoro acquistasse un ruolo centrale nella loro vita o fosse concepito come un approdo definitivo.

Raffaello fu assunto dalla Fiat nell’ottobre del 1976 e destinato al reparto finizione: «Quando a ottobre del ’76 la Fiat mi convocò per assumermi, per precauzione mi dovetti presentare del tutto irriconoscibile: senza barba, con i capelli corti, con gli occhiali e, per maggior sicurezza, durante tutto il periodo di prova evitai di entrare dalla porta corrispondente alla mia officina, perché per combinazione era proprio quella del mio intervento esterno».

Similmente a quanto aveva già fatto un suo amico e compagno di militanza politica e di intervento davanti alle porte di Mirafiori, Angelo Caforio, assunto pochi mesi prima in Carrozzeria nel reparto verniciatura, per precauzione il giovane, barbuto e capellone, si trasformò in un ragazzo per bene, irriconoscibile, a prima vista, anche dai suoi compagni di vecchia data: «Mi trovai di fronte ad un tizio occhialuto con i capelli cortissimi e l’aria da bravo ragazzo che stentai a riconoscere. Naturalmente era lui che, come molti altri compagni in quella fase, era entrato in fabbrica alla Carrozzeria di  Mirafiori».

Difatti, all’interno di una scelta politica decisa e condivisa, in quel periodo entrarono alla Fiat altri giovani militanti dei GCR, per coniugare l’attività lavorativa all’impegno politico che aveva nella fabbrica il suo centro.

Nell’officina finizione, posta alla fine del ciclo produttivo, col compito di controllare la qualità delle vetture all’uscita della produzione e recuperare tutti gli scarti, Raffaello apprese il lavoro di “levabolli”. Non fu facile adattarsi al nuovo e disciplinato orario di fabbrica, articolato su due turni di lavoro, per fortuna c’era Franco Ranghino al quale, per un certo periodo, «toccò l’ingrato ruolo di guardia rossa della sveglia visto che tanto lui che mio fratello, assunto nello stesso periodo alla Bertone, avevano inevitabilmente qualche problema ad adattarsi al nuovo ritmo di vita imposto dalla fabbrica. Anche questo in fondo faceva parte di ciò che chiamavamo priorità operaia!».

I turni di lavoro rimodellarono il suo tempo di vita, tutto cambiò nelle abitudini e nelle consuetudini, la vita dello studente e del lavoratore precario era finita, ma l’impegno politico (e poi anche sindacale) no.

Dopo le elezioni politiche anticipate del 20 e 21 giugno 1976 le cose cambiarono velocemente. L’avanzata elettorale del PCI, che raggiunse col 34,4% dei consensi il suo massimo storico, e la tenuta della DC produssero un governo presieduto da  Andreotti che si reggeva sull’astensione del PCI e, a partire dal 1978, l’astensione divenne partecipazione diretta alla maggioranza governativa. Lo scarso e deludente risultato del cartello elettorale di Democrazia Proletaria, che raggruppava Lotta Continua, Avanguardia Operaia e il Pdup per il comunismo, al quale avevano aderito anche i GCR con propri candidati nelle liste, precipitò la nuova sinistra, nata dopo il biennio 1968-’69, in una profonda crisi di militanza e di prospettiva politica. La prima a farne le spese fu Lotta Continua che iniziò a sciogliersi come organizzazione dopo il congresso di Rimini di quell’anno. Poi la crisi investì il processo di unificazione, che sembrava imminente, tra Avanguardia Operaia e Pdup per il comunismo, che non si realizzò, anzi produsse due scissioni dentro le organizzazioni promotrici che diedero vita da un  lato a un nuovo partito che mantenne la sigla Pdup, formato dall’ex gruppo del manifesto e da un pezzo minoritario uscito da Avanguardia Operaia e, dall’altro, alla costituente di Democrazia Proletaria con la partecipazione di Avanguardia Operaia, il settore del Pdup per il comunismo composto dai sindacalisti e dai militanti provenienti dal vecchio Psiup e dall’esperienza del cattolicesimo di sinistra e altre formazioni minori dell’area della nuova sinistra. Il tutto in un contesto entro il quale la linea della maggior forza politica del movimento operaio, il PCI, coinvolto nelle scelte governative elaborava la politica dell’austerità e dei sacrifici che la classe operaia italiana, ormai classe nazionale e di governo, doveva compiere per far uscire il paese dalla crisi economica in cui stava precipitando.

Questa situazione poteva offrire spazi di crescita e di espansione, lasciati dalla crisi delle organizzazioni della nuova sinistra, per la piccola organizzazione dei GCR, purché sapesse entrare «in sintonia con quella parte conflittuale della fabbrica, puntando a far trascrescere i Consigli di Fabbrica da semplici strutture di base a vere e propria direzione del movimento, ossia nel fulcro centrale di una ricomposizione politica su posizioni anticapitalistiche».

Che in fabbrica esistesse uno spazio di questo tipo se ne rese conto anche il giovane operaio neoassunto Raffaello:

mentre con le vertenze aziendali la Flmspingeva all’estremo la logica di controllo e condizionamento delle politiche delle imprese, sul piano nazionale le confederazioni scelsero un’altra strada. Al centro delle preoccupazioni della federazione Cgil-Cisl e Uil c’era il problema del costo del lavoro che la Confindustriachiedeva con forza che fosse abbassato. Nonostante le migliaia di mozioni e prese di posizione di assemblee di lavoratori e di Consigli di fabbrica per non cedere alle richieste padronali, il 26 gennaio [1977] le segreterie confederali firmarono un accordo che tra l’altro eliminava gli scatti di contingenza dal calcolo delle liquidazioni e aboliva dal calendario sette festività, con un aumento di orario per ogni lavoratore italiano di 56 ore, equivalenti sul piano nazionale a 250.000 posti di lavoro in meno. Era una situazione schizofrenica, che vedeva a livello locale il sindacato impegnato nelle vertenze aziendali su aumenti salariali e riduzioni d’orario, mentre sul piano nazionale sottoscriveva accordi che accettavano la strategia dei sacrifici per i lavoratori.

Difesa del sindacato dei consigli e tentativo di trasformarli in organismi di controllo sindacale, opposizione alla politica dei sacrifici per i lavoratori, richiesti da Luciano Lama, segretarop generale della CGIL, e alla linea dei sindacati confederali dopo il congresso dell’Eur a Roma nel 1978, partecipazione alle forme organizzate di opposizione operaia coi settori critici sulla svolta dell’Eur, ma nell’intento di costruire una tendenza sindacale di classe dentro i sindacati, questa era in sintesi la linea dei GCR riaffermata in un convegno operaio che tennero a Torino nell’aprile del 1977: «abbiamo più volte ribadito la nostra concezione del lavoro dei rivoluzionari nel sindacato. […] La contrapposizione dentro-fuori del sindacato per noi è stata sempre assurda. Il vero problema è rimanere dentro l’organismo […] ma fuori dalla logica, dalla linea, dalla disciplina imposta dai vertici burocratici». Questa era, d’altronde, anche l’indicazione che proveniva dalle istanze dirigenti della Quarta Internazionale che indicavano l’obiettivo di costruire «solide frazioni sindacali nell’industria». Così la maggior parte degli operai aderenti ai GCR si orientò verso l’iscrizione ai sindacati confederali, la FIOM  – alla quale si iscrisse in quel periodo anche Raffaello e la FIM.

La fabbrica e gli operai dall’interno erano tutta un’altra cosa, ha raccontato Angelo Caforio, «prendemmo contatto con una realtà a noi non del tutto sconosciuta, perché da anni facevamo intervento alle porte, ma certo non sperimentata»; forte era la presenza dei delegati e del consiglio di fabbrica –prosegue- nel quale erano presenti tutte le componenti politiche della sinistra, i comunisti, i socialisti, la nuova sinistra e diversi operai delegati che non avevano appartenenza politica, erano solo iscritti alla FLM. In quest’ambito, racconta ancora Caforio, costruimmo rapporti con alcuni delegati “storici” del reparto lastroferratuta, come Liberato Norcia, Giovanni Falcone,  altri sindacalisti e o «neoassunti come noi». In particolare Raffaello instaurò un buon rapporto con un giovane operaio, Nino, con altri delegati della lastroferratura e poi con Citriniti, quando entrò nell’officina finizione. Tutto questo gruppo di compagni, delegati, sindacalisti, amici divenne subito critico verso le scelte dell’Eur e la politica dell’austerità e dei sacrifici. Il suo compagno di lavoro, Antonio Citriniti, ha ricordato la solidarietà generazionale che si venne subito a creare tra i nuovi “giovani” assunti rispetto ad altri gruppi operai più anziani: «eravamo un gruppo di giovani, un “cartello” di nuovi ingressi in azienda, opposti ai “vecchi”. Eravamo “radicali”, contestatori, rivendicavamo un cambiamento nei rapporti d’azienda, mentre loro volevano solo partecipare al governo della fabbrica e evitare lo scontro diretto e senza mediazioni».

Si incontrarono anche con una realtà del tutto nuova, creata dalla massiccia assunzione, in quegli anni, di giovani donne che entravano per la prima volta in un ambiente prevalentemente maschile e maschilista. Gli «atteggiamenti maschilisti dell’operaio massa, erano evidenti, pesanti e avvilenti», nacquero discussioni lunghissime, faticose e rissose fra noi, ha raccontato Caforio, che criticavamo quegli atteggiamenti e quei comportamenti, e altri operai «per i quali fischiare dietro le operaie, fare battute volgari, era quasi normale».

Pochi mesi dopo l’assunzione partecipò alla vertenza relativa alla piattaforma integrativa del gruppo Fiat del 1977 che si sviluppò a partire dal tema dell’ambiente di lavoro, dei ritmi e del controllo dei tempi,  e riprese, come scrisse lo stesso Raffaello: «le rivendicazioni e la metodologia del sindacato FIOM torinese: intreccio tra esperti accademici (psicologi e medici del lavoro) e giudizio del gruppo operaio omogeneo. […] Era un approccio che partendo dall’esperienza di fabbrica, dal controllo e dalla validazione del gruppo operaio omogeneo sulle proprie condizioni, tentava di ridisegnare un nuovo modello di società; una società validata democraticamente dai lavoratori. La lotta conobbe anche momenti di scontro duro, che riprendevano metodologie in uso nel ’69, come quando nel giugno del 1977, dopo un’assemblea interna d’officina si decise di andare alla Palazzina di Mirafiori dove lavoravano dirigenti e impiegati. Uscimmo dalla Carrozzeria, ricorda Angelo Caforio, Raffaello era in testa al corteo:

ci scambiavamo occhiate di compiacimento, era per noi la prima volta che andavamo in corteo alla Palazzina; eravamo 500 o 600 e giungemmo davanti alle porte blindate e chiuse chela Fiataveva fatto installare proprio per impedire che si ripetessero gli sfondamenti dell’autunno caldo.

Cercammo di superarle sfondando i vetri e un frammento di vetro ferì Raffaello a un dito. Subito non ci fece caso, era troppo preso dall’entusiasmo per quel che stava accadendo. Solo dopo si rese conto che aveva una scheggia di vetro conficcata dentro. Non riuscimmo a sfondare le porte.

La vertenza si concluse a luglio con la conquista della riduzione dell’orario di mezz’ora per turno. Dopo quella vertenza, nel 1978, fu eletto delegato nella squadra del reparto finizione della Carrozzeria di Mirafiori. Quell’anno, abbandonata la “comune dei Ranghino”, andò a vivere con Doriana Bertino in un’abitazione vicina a quella dove viveva Angelo Caforio. Spesso andavamo al lavoro assieme, racconta Caforio: «quando passavo a prenderlo al mattino presto per il primo turno era una fatica, si svegliava all’ultimo minuto e a volte si precipitava in strada non ancora completamente vestito, finiva col mettersi i calzini in auto o infilarsi il maglione che si era portato dietro. Così timbravamo il cartellino sempre all’ultimo minuto».

All’inizio del 1979 si apriva la vertenza per il rinnovo del contratto nazionale dei metalmeccanici, così, in sintesi riassumeva quella storia Raffaello:

fin dai primi mesi del ’79 partono le lotte per il rinnovo contrattuale. […] Dopo mesi di inconcludenti trattative, con l’avvicinarsi delle ferie le lotte alla Fiat si fecero più intense. La FLMe i consigli di fabbrica organizzarono scioperi articolati con blocchi delle merci e presidi ai cancelli […] Per rendere più incisiva la lotta  gli scioperanti, soprattutto quelli più giovani, cominciarono  a trasferirsi dalle porte degli stabilimenti alle vie adiacenti, organizzando blocchi stradali. Dopo le prime esperienze i bersagli divennero via via più ambiziosi: arterie stradali a intenso traffico, autostrade, tangenziali, ferrovie e centro cittadino. Tra la fine di giugno e la metà di luglio gruppi di lavoratori e delegati avevano preso l’abitudine di sequestrare i mezzi pubblici per farsi trasportare sugli obiettivi che intendevano bloccare. In quei giorni i cittadini torinesi videro ripetutamente le tute blu degli operai Fiat scendere dagli autobus e invadere le vie del centro o le stazioni ferroviarie. […] Il 14 luglio venne firmato il nuovo contratto nazionale con una simbolica riduzione annua dell’orario […] A differenza di altre vertenze, questa volta i 5 operai licenziati durante gli scioperi, non vennero reintegrati e rimasero pure aperti i provvedimenti giudiziari contro 160 operai denunciati dalla Fiat per i blocchi delle merci.

Anche nel suo reparto si sviluppò una dura lotta che passò alla ribalta nazionale perché giunse a bloccare tutta la Carrozzeria: «Le auto che noi ci rifiutavamo di rifinire riempirono dapprima i piazzali interni, poi la pista di collaudo e poi ancora, in doppia  e tripla fila, tutte le strade interne, fino al punto di rendere impossibile la circolazione». La raccontò in un articolo per «Bandiera Rossa» nel quale descrisse i provvedimenti presi dall’azienda per aumentare la produttività e la risposta dei lavoratori per autoridursi i carichi di lavoro, costringendo la Fiat ad aprire una trattativa col Consiglio di fabbrica e la FLM. Trattativa che poi interruppe scatenando la reazione solidale dei lavoratori degli altri reparti. Quella lotta insegnava, secondo Raffaello, che il Consiglio di fabbrica doveva

prepararsi per contrastare le iniziative padronali, ma soprattutto la direzione nazionale della FLM e le stesse confederazioni devono prendere atto che, nei fatti, esiste una politica padronale ispirata alla provocazione antioperaia, che dai tavoli della trattativa si trasferisce costantemente nelle officine. Di fronte a vari tentativi padronali di andare ad una limitazione del diritto di sciopero, di attaccare le strutture di base del sindacato come i consigli di fabbrica, eliminandone il ruolo dirigente a livello di massa, l’insieme del sindacato deve rispondere chiamando a una mobilitazione generale i lavoratori.

Nell’articolo poneva l’accento sul controllo operaio che in fabbrica voleva dire forma di controllo che la squadra operaia, il gruppo omogeneo, applicava partendo dalla conoscenza del ciclo produttivo, dei tempi e dei ritmi e delle modalità di organizzazione del lavoro. Questo consentiva non solo di esercitare un controllo ma di formulare, proporre, imporre modifiche al modo di produzione che tenessero conto, dal punto di vista operaio, delle condizioni ambientali in cui si svolgeva il lavoro, fino a proporre progetti alternativi di organizzazione del lavoro rispetto a quelli della Fiat.

Vi era un elemento che nell’articolo non traspariva, quello della nascita di una comunità operaia, di un senso di appartenenza che andava oltre le ore calde della lotta in fabbrica e che si manifestava in amicizia e solidarietà umana in tutte le sue dimensioni. I rapporti e le relazioni umane che instaurai in fabbrica in quel momento, ha detto Angelo Caforio, «non le ho più trovate in altri ambienti di lavoro», un clima umano e affettivo, oltre che politico e sindacale, che avvolgeva, faceva sentire parte di un gruppo di pari provocando una crescita formativa della persona; non a caso, sempre Caforio afferma deciso: «per me quella resta l’unica grande università che ho frequentato». Nondimeno Doriana Bertino ha voluto ricordare come Raffaello sentisse un

legame fortissimo e indissolubile con il mondo operaio, con quella immensa umanità che hai sempre solo trovato, apprezzato, amato negli operai. Ti trovavi a tuo perfetto agio solo in mezzo a loro, non era solo un modello di riferimento sociale ma anche umano; provavi una enorme stima personale per il loro vissuto e ti commuovevano le loro sofferenze come ti divertivano le loro stupidaggini. E tu della fabbrica avevi un ricordo positivo non solo per le esperienze sindacali e politiche ma anche perché riuscivi a  divertirti, a scherzare, ad escogitare collettivamente sistemi di sopravvivenza all’alienazione e alla stanchezza, a vivere intensamente i rapporti di amicizia e di solidarietà.

Soprattutto dopo il rapimento di Aldo Moro del marzo 1978, il clima in fabbrica cambiò. Subentrò il sospetto e la parte moderata dei sindacati confederali e della sinistra iniziò a mettere in discussione le forme di lotta considerate violente (picchetti, cortei interni), accusandole, assieme alla campagna mediatica che si scatenò, di essere il “brodo di coltura” del terrorismo. A proposito di lotta armata e terrorismo, il giudizio politico di Raffaello era netto:

La lotta armata non fu in alcun modo una continuazione del conflitto operaio, ma un fenomeno importato, nelle sue origini largamente estraneo all’esperienza di lotta della Fiat e di Torino […]. Le prime azioni dei terroristi, suscitarono una certa simpatia tra i lavoratori, vuoi perché rispondevano a un certo clichè culturale che considerava in modo positivo le azioni dei “giustizieri mascherati”, vuoi perché nel rancore accumulato per anni, lo sparo di pistola era considerato una disgrazia meritata, come se si trattasse di un malanno o di un incidente capitato a coloro cui è stato augurato del male. Successivamente con il crescere delle azioni terroristiche, e soprattutto degli omicidi, le simpatie diminuirono, anche se rimase per diversi anni un atteggiamento qualunquistico e rancoroso che leggeva la discussione sul terrorismo e le iniziative contro di esso come un tentativo di diversione rispetto ai problemi reali dei lavoratori. Poi vi furono una serie di fatti che forse più di altri influirono in una svolta di atteggiamento dei militanti e dei lavoratori della Fiat. Il primo fu l’incendio a colpi di bottiglie molotov del bar Angelo azzurro, considerato dall’estrema sinistra torinese un covo di fascisti. Nel rogo morì tragicamente il giovane Roberto Crescenzio. Gli avvenimenti dell’Angelo Azzurro spinsero l’area dell’estrema sinistra ad una nuova consapevolezza e a disfarsi dei servizi d’ordine e del connesso armamentario ideologico militarista. […] dopo l’assassinio di Aldo Moro, la lontananza dalla logica dei terroristi emerse con più nettezza. Il terzo avvenimento fu sicuramente l’uccisione da parte delle Brigate Rosse di Guido Rossa, militante del Pci e delegato della Fiom all’Italsider di Genova nel gennaio del 1979.

Nel 1979 i GCR conobbero un significativo rafforzamento della loro presenza nei principali stabilimenti Fiat di Torino, un inserimento dei loro operai nelle strutture sindacali e nei consigli e un ruolo politico cittadino di un certo rilievo, data anche la crisi in cui versava l’area della nuova sinistra dopo la sconfitta elettorale subita dal cartello Nuova Sinistra Unita alle elezioni politiche del 1979, che non aveva raggiunto il quorum e non aveva eletto alcun rappresentate al parlamento. La capacità organizzativa e il peso nuovo assunto nella dinamica sociale e sindacale dai GCR a Torino (in procinto di trasformarsi in Lega Comunista Rivoluzionaria (LCR), proprio per sottolineare la maturazione e il potenziamento organizzativo raggiunto), fu la ragione che spinse il gruppo locale a promuovere nella città un convegno europeo su L’Europa dei lavoratori. Una strategia di lotta per la classe operaia, per i giovani, per le donne, che si  tenne al cinema Colosseo nei giorni 19 e 20 maggio e che vide la presenza, oltre ai dirigenti dell’Internazionale Ernest Mandel e Livio Maitan, di Mario Didò del PSI e segretario della CGIL, Luciana Castellina del Pdup, Leo Rota dell’esecutivo del Cdf Fiat Lingotto, candidato alle elezioni europee nelle liste del PCI, Pino Ferraris di DP, Alberto Tridente della segreteria nazionale della FLM, Adriano Serafino, della segreteria provinciale torinese della FLM, Renato Lattes, della segreteria provinciale torinese della CGIL, nonché esponenti del Manifesto e del gruppo Praxis, delegati delle sezioni europee della Quarta Internazionale: Francia Svizzera, Germania Occidentale, Olanda, Belgio, Italia e Spagna. A Raffaello toccò, come ad altri, di presiedere i lavori del convegno, al quale parteciparono circa 1.500 persone e che si concluse con un concerto degli Area. Durante l’estate un gruppo di compagni e compagne (Rocco Papandrea, Daniela e Doriana Bertino, Angelo Caforio e Raffaello) partiva da Torino per andare in vacanza in Spagna e prendere anche contatto con i compagni della sezione spagnola della Quarta Internazionale che lavoravano alla SEAT, la fabbrica automobilistica appena acquisita dalla FIAT. Lo scopo era quello di attivare uno scambio di informazioni sulla situazione di fabbrica nei due paesi dando vita anche ad un giornalino che uscisse contemporaneamente in lingua italiana e spagnola.

Pochi mesi dopo il 5 e 6 ottobre 1979 si teneva sempre a Torino un altro convegno dal titolo Fiat Seat. Stessa lotta. Contro l’attacco del capitale e delle multinazionali unifichiamo le lotte dei lavoratori, organizzato dai GCR e dalla LCR, la sezione spagnola della Quarta Internazionale, quell’incontro sancì la decisione di  stampare il giornalino «Stessa Lotta/Misma Lucha» il cui numero zero uscì poche settimane dopo e costituì uno dei pochi casi di lavoro comune tra operai di aziende di paesi diversi e che durerà sino a che la Fiat manterrà la proprietà sulla fabbrica spagnola.


Franco Turigliatto, Una svolta positiva di LC, «Bandiera Rossa», 15 dicembre 1974. Vedi anche la riflessione più complessiva, sempre di Franco Turigliatto, La svolta di L. C. e il suo passato spontaneistico, «Bandiera Rossa», 12 giugno 1975 (la seconda parte dell’articolo uscì sul numero del 30 giugno 1975)

Marco Revelli, Lavorare in Fiat, Milano, Garzanti, 1989, p. 73. Vedi anche Raffaello Renzacci, Lottare alla Fiat, in Cento… e uno anni di Fiat, a cura di Antonio Moscato, Bolsena, Massari editore, 2000, p. 71.

Che qualcosa nella coscienza dei lavoratori fosse cambiato lo avevano già intravisto due ricercatori e militanti torinesi, Brunello Mantelli e Marco Revelli, che avevano intervistato centinaia di operai nel corso dei 55 giorni del rapimento di Aldo Moro da parte delle Brigate Rosse nel 1978. Successivamente sulla composizione della classe operaia Fiat e sugli atteggiamenti verso il lavoro e l’azienda era stata pubblicata un’inchiesta dal titolo Coscienza operaia oggi. I nuovi comportamenti operai in una ricerca gestita dai lavoratori e, nello specifico, sulle caratteristiche dei nuovi assunti la ricerca di Silvia Belforte, S. Belforte, M. Ciatti, Il fondo del barile: riorganizzazione del ciclo produttivo e composizione operaia alla Fiat dopo le nuove assunzioni, Milano, La Salamandra, 1980. Anche il PCI, nel 1979, aveva preso l’iniziativa di un sondaggio di massa tra i dipendenti del gruppo i cui risultati furono pubblicati  l’anno dopo in Aris Accornero; Alberto Baldissera, Sergio Scamuzzi, Ricerca di massa sulla condizione operaia alla Fiat: i primi risultati, «Bollettino Cespe», Roma, 2 febbraio 1980. Vedi anche l’articolo pubblicato in seguito di A. Accornero, F. Carmignani, N. Magna, I tre “tipi” di operai della Fiat, «Politica ed economia», n. 5, maggio 1985 con la quale si classificano tre tipologie di comportamento operaio: conflittuale (chi riconosce l’esistenza e l’inevitabilità del conflitto tra azienda e lavoratori ma ritiene si debba cercare una mediazione attraverso la contrattazione), antagonista (chi è per la lotta intransigente e dura, senza mediazioni e accordi), collaborativo (chi è per la collaborazione con l’azienda). I dati ripetevano il peso statistico del sondaggio riportato nel testo.

Raffaello Renzacci, Lottare alla Fiat, in op. cit., p. 71

Raffaello Renzacci, in L’altra faccia della Fiat. I protagonisti raccontano, cit. p. 230

Franco Ranghino, Memoria scritta, Torino 13 marzo 2006

Cfr., Il documento conclusivo della Conferenza nazionale dei Gruppi Comunisti Rivoluzionari, «Quarta Internazionale», numero speciale, gennaio 1974

Franco Ranghino, Memoria scritta, Torino 13 marzo 2006

Raffaello Renzacci, Lottare alla Fiat, in op. cit., p. 67

Nell’intervista rilasciata al quotidiano «Repubblica» del 24 gennaio 1978, Luciano Lama, affermava: «il sindacato propone ai lavoratori una politica di sacrifici. Sacrifici non marginali, ma sostanziali».

Per un’opposizione di classe nel sindacato e nel paese. Documento preparatorio per il Convegno operaio, «Bandiera Rossa», n. 7, 19 aprile 1977. Vedi anche Torino, convegno operaio dei GCR che riporta la relazione di Rocco Papandrea e il bilancio del convegno di Antonio Moscato, «Bandiera Rossa», 1° maggio 1977. Cfr. anche Antonio Moscato, Costruire l’opposizione operaia nel sindacato e nella fabbrica, «Bandiera Rossa», 1 febbraio 1978 e Franco Turigliatto, Costruire una tendenza sindacale di classe per raccogliere il dissenso, «Bandiera Rossa», 15 febbraio 1978.

L’Europe capitaliste en crise et les taches actuelles de la IVe Internationale, in Congrès mondiale de la IVe Internationale, «Inprecor», novembre 1979, p. 154 e 150.

Intervista ad Angelo Caforio raccolta su nastro da Franco Ranghino il 14-6-2006, cassetta n. 1, facciata B

Intervista ad Antonio Citriniti, raccolta su nastro da Franco Ranghino l’8-8-2006, cassetta n. 1, facciata B. Di Antonio Citriniti vedi anche la sua testimonianza contenuta in L’altra faccia della Fiat, Roma, Erre Emme, 1990.

Ibidem

Raffaello Renzacci, Lottare alla Fiat, in op. cit., p. 67

Intervista ad Angelo Caforio raccolta su nastro da Franco Ranghino il 14-6-2006, cassetta n. 2, facciata B

Intervista ad Angelo Caforio raccolta su nastro da Franco Ranghino il 14-6-2006, cassetta n. 3, facciata A

Raffaello Renzacci, Lottare alla Fiat, in op. cit. p. 78

Raffaello Renzacci, in L’altra faccia della Fiat. I protagonisti raccontano, cit., p. 231

Raffaello Renzacci, Elementi di controllo operaio nella lotta alla finizione, «Bandiera Rossa», 15 maggio 1979.

Intervista ad Angelo Caforio raccolta su nastro da Franco Ranghino il 14-6-2006, cassetta n. 3, facciata B

Testimonianza di Doriana Bertino all’autore.

Raffaello Renzacci, Lottare alla Fiat, in op. cit., pp. 79-80

Cfr., La manifestazione per l’Europa dei lavoratori, «Bandiera Rossa», 29 maggio 1979.

Cfr., Organizzato il coordinamento del lavoro alla Fiat e alla Seat, «Bandiera Rossa», 14 ottobre 1979. Sull’unificazione della Fiat con la Seat vedi gli articoli di Rocco Papandrea: La vantaggiosa operazione Seat, «Bandiera Rossa», 30 settembre 1979 e Il padrone è multinazionale e il sindacato perché no?, «Bandiera Rossa», 7 ottobre 1979.

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